Romano nato nel cuore di Trastevere, Alberto Sordi ha portato, con Aldo Fabrizi e Anna Magnani, la romanità nella cinematografia. Proprio lo spiccato accento romanesco gli precluse in giovinezza l’accesso all’Accademia dei filodrammatici. Ma Alberto Sordi non si corresse. Come sanno fare solo i grandi, fece di quel difetto un pregio. Così quella sua parlata e quella genuinità hanno contribuito a renderlo riconoscibile. A Sordi era chiaro dalla giovinezza che l’arte non è solo tecnica. Ha avuto ragione. E nel 1999 la stessa Accademia dei filodrammatici, riparando alla cecità di anni prima, gli conferì il diploma honoris causa in recitazione. Tutti gli ostacoli e le bocciature della gioventù non lo fermarono, anzi rafforzarono la sua tenacia. Sordi non indietreggiò mai, consapevole che quella era la sua strada.

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Da Roma agli Stati Uniti: un mare di riconoscimenti
L’attore romano negli anni è stato subissato di riconoscimenti di ogni genere, in Italia e all’estero. Perché, se il nostro Albertone è un’istituzione nazionale, ha avuto consensi dappertutto. Dall’Orso d’oro a Berlino al Leone d’oro alla carriera a Venezia. Dai Nastri d’argento ai David di Donatello. Dalle Grolle d’oro alle lauree honoris causa. L’elenco sarebbe lunghissimo. Poi i consensi negli Stati Uniti. L’ammirazione che gli americani hanno sempre avuto per questo vecchio ragazzo di Trastevere culminò nell’autunno dell’85 al Carnegie Hall Cinema di New York, con la rassegna «Alberto Sordi-Maestro of Italian Comedy». Il grande successo sorprese lo stesso Sordi, che considerava questo tributo uno dei più grandi mai ricevuti.
Poi Roma. Tra i tanti attestati di affetto e di stima che la sua Roma gli ha tributato prima e dopo la morte, ricordiamo la fascia tricolore che Alberto indossò nel suo ottantesimo compleanno, quando per quelle ore fu sindaco della capitale.

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Gli inizi di Alberto Sordi
Alberto Sordi nacque sotto il segno dei gemelli il 15 giugno del 1920. La sua propensione per lo spettacolo si rivelò presto. Negli anni della scuola elementare già si dava da fare nella compagnia del Teatrino delle marionette. In più in quel periodo cantava nel coro della Cappella Sistina.
L’adolescente Alberto riconobbe la sua strada e lasciò tutto. A sedici anni, senza essersi diplomato, tentò la fortuna al Nord. Dopo la bocciatura ricevuta dall’Accademia dei filodrammatici per la sua mitica inflessione romanesca, tornato a Roma, cominciò a frequentare Cinecittà e a fare la comparsa. Ma soprattutto diventò la voce italiana di Ollio.
In questi anni, fino alla metà del secolo, si diede da fare su più fronti, dalle comparsate nei film al doppiaggio, dalla rivista alla radio. Ma, se in teatro e nel doppiaggio fu apprezzato e in radio ottenne grandi consensi, il cinema lo snobbava. Erano gli anni della gavetta, che però avrebbero portato i loro frutti. C’era solo da attendere. Ma ad Alberto la pazienza non mancava. La tenacia era il suo forte.
Un americano a Roma e la celebrità
Con gli anni Cinquanta cominciò la sua vera e propria carriera cinematografica. Del ’51 è il primo film in cui è protagonista, Mamma mia, che impressione!, di cui Alberto Sordi curò anche il soggetto e, insieme a Cesare Zavattini, la sceneggiatura. Ma fu Federico Fellini a dargli due grandi occasioni, che Sordi non si fece sfuggire. Lo sceicco bianco, del 1952, e soprattutto I vitelloni, del 1953. Da questo momento l’attore romano sarebbe stato un protagonista del nostro cinema.
Con Un giorno in pretura di Steno, sempre del ’53, diede vita al personaggio che gli avrebbe portato la celebrità, Ferdinando, detto Nando, il giovane che sogna l’America. Questo giovane trasteverino e la sua provinciale esterofilia furono i protagonisti l’anno dopo di Un americano a Roma, ancora diretto da Steno. Il film, inserito in una lista di cento pellicole italiane da salvare, leggeva la società italiana di quegli anni, affascinata dall’America, conosciuta attraverso i film e le riviste. Da allora Alberto Sordi avrebbe seguito e interpretato i cambiamenti del nostro costume. Un americano a Roma ridicolizzava le ossessioni, il sogno ingenuo di una terra dove tutto è perfetto. Il film, nella sua comicità e apparente leggerezza, era un invito a non lasciarsi sopraffare dai miti imposti dalla società. Alcune scene del film sarebbero entrate nell’immaginario popolare, a cominciare da quella in cui Nando, deluso dal cibo americano, ingurgita gli spaghetti.

Alberto Sordi, un protagonista della commedia all’italiana
Negli anni Cinquanta si affermò anche la capacità di Alberto Sordi di interpretare un tipo di personaggio che la critica identifica con l’italiano medio. Vale a dire un personaggio caratterizzato da piccole furbizie, vigliaccheria, scarsa personalità. Un tipo che rincorre e raggranella piccoli successi, sbavando dietro ai potenti e calpestando i più deboli.
Innumerevoli i film che da questo momento Sordi interpretò, diventando, con Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni, Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Monica Vitti, un caposaldo della commedia all’italiana. Dal Vigile al Medico della mutua di Luigi Zampa, dallo Scopone scientifico di Luigi Comencini a tutto il resto. Alberto Sordi recitò con maestria anche in parti drammatiche, come nella Grande guerra di Mario Monicelli e in Una vita difficile di Dino Risi. Arrivando con Un borghese piccolo piccolo di Monicelli, nel 1977, a uno dei suoi ruoli drammatici più intensi, che portava sullo schermo la violenza e il declino di quegli anni. Sordi diresse anche diciannove film, a cominciare da Fumo di Londra del ’66.
La vita privata dell’Albertone nazionale, si sa, è sempre stata privata. Poco o nulla si sa delle sue storie d’amore e di tutto il resto. Non si è mai sposato e non ha avuto figli. Era cattolico.
Ammalato da un paio d’anni, Alberto ci lasciò la sera del 24 febbraio del 2003, nella sua casa romana. Una partecipazione imponente accompagnò i funerali, che si svolsero nella Basilica di San Giovanni in Laterano.