Biografia di Roman Polański

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Roman Polański nacque nel ’33 a Parigi. I genitori erano di origine ebraica.

L’antisemitismo si stava diffondendo in Francia. Così nel ’36 Roman si trasferì con i suoi a Cracovia. Il padre era infatti polacco.

Ma Cracovia si rivelò tutt’altro che sicura. Lì il delirio di Adolf Hitler mostrò tutto il suo volto, dopo l’invasione del ’39. Così il futuro regista e i suoi furono rinchiusi nel ghetto. Il padre riuscì a far fuggire Roman e pagò per salvarlo. Il bambino fu nascosto prima da una famiglia, poi da un’altra, in attesa di tempi migliori. Poi entrambi i genitori conobbero il lager. La madre non tornò da Auschwitz.

Quando i tempi migliori furono arrivati, Polański studiò cinema e teatro.

Recitò sia nel cinema che in radio, negli anni Cinquanta. Ma era la regia la sua strada e la sua gloria futura. Come regista iniziò con vari cortometraggi, a partire dalla metà del decennio.

Nel ’59 ci fu il suo primo matrimonio, con l’attrice Barbara Lass. L’unione fu breve. I due divorziarono nel ’62.

In questo stesso anno Polański diresse il suo primo lungometraggio, Il coltello nell’acqua, con cui attirò l’attenzione internazionale. Ottenne anche la sua prima candidatura agli Oscar, superato da Federico Fellini, che vinse la statuetta con . Il coltello nell’acqua sarebbe stato per quarant’anni l’unico film di Roman girato in patria. Infatti il grande regista, in giro tra Francia, Inghilterra, Stati Uniti e tragedie, solo con Il pianista del 2002 sarebbe tornato a girare in Polonia.

I successi di Roman Polański

Nel ’63 Polański si stabilì in Francia. Poco dopo scelse l’Inghilterra. Intanto il suo prestigio cresceva. Diresse Repulsione del 1965, thriller con Catherine Deneuve, influenzato da Psyco di Alfred Hitchcock. L’anno dopo uscì Cul-de-sac (Orso d’oro a Berlino), che guardava all’assurdo di Aspettando Godot di Beckett. Con Per favore, non mordermi sul collo! del ’67 Roman diresse Sharon Tate, con cui aveva una relazione che sfociò in matrimonio l’anno dopo. Proprio nel ’68 uscì l’acclamato e inquietante Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York, con Mia Farrow, primo film prodotto negli Stati Uniti, capolavoro di raffinatezza, dove l’horror era tanto più profondo proprio perché nascosto tra le pieghe del reale.

L’incubo di Cielo Drive

Alla fine del decennio Roman e Sharon Tate ormai vivevano stabilmente a Los Angeles. Avevano preso in affitto una villa in Cielo Drive.

Charles Manson era nato a Cincinnati nel ’34. Aveva avuto un’infanzia dura al seguito della vita disordinata della giovane madre. Aveva vissuto tra un motel e l’altro, tra un istituto e l’altro. Ancora ragazzino aveva cominciato a compiere piccoli reati e ad avere a che fare con la polizia. Era quello solo l’inizio di una carriera criminale che avrebbe raggiunto vette di efferatezza e di deliri.

Nel ’69 Manson era a capo di una banda che viveva tra droghe, reati, vagabondaggi, sesso. Il 9 agosto di quell’anno Roman Polański era a Londra per lavoro. Quella sera alcuni membri della banda di Manson eseguirono gli ordini del loro capo ed entrarono nella villa di Cielo Drive. Qui Sharon Tate, incinta di otto mesi, e tre suoi amici stavano passando la serata. I criminali, muniti di coltelli e di una pistola, uccisero i quattro senza pietà. Uccisero anche un ragazzo che era passato dal custode della villa.

Fu un altro colpo sconvolgente per Polański, che fin dall’infanzia, dai tempi della Polonia occupata dai nazisti, aveva conosciuto la morte, a cominciare da quella della mamma.

Sharon Tate
Sharon Tate nel suo splendore. Mancavano due mesi all’orrore di Cielo Drive.

Negli anni Settanta

Dopo Macbeth del ’71 e Che? del ’72, che aveva Marcello Mastroianni come protagonista, Roman tornò ad alti livelli nel ’74 con Chinatown, che presentava un Jack Nicholson in grande spolvero. La pellicola ottenne undici candidature agli Oscar e si affermò presto come un classico del grande regista.

Nel ’76 Polański diresse L’inquilino del terzo piano. Se il regista franco-polacco recitava spesso nei suoi film, qui fu l’interprete protagonista.

Le vicende giudiziarie di Roman Polański

Marzo 1977. La tredicenne Samantha Geimer si venne a trovare da sola con Polański nella casa di Jack Nicholson. La ragazza affermò di essere stata violentata. Il regista, dal canto suo, parlò di un rapporto sessuale illecito ma consensuale. La denuncia portò a sei capi d’imputazione. All’inizio del processo restò solo il rapporto sessuale illecito, ammesso dall’imputato. Che, dopo quarantadue giorni di carcere, ritrovò la libertà. Roman era convinto di aver scontato la totalità della pena. Quando capì che non era così, raggiunse l’Inghilterra e subito dopo la Francia. Da allora ha vissuto fuori dagli Stati Uniti e da ogni paese da cui sarebbe potuto essere estradato.

Negli anni successivi

Nel 2009, all’aeroporto di Zurigo, dove si era recato per ricevere l’ennesimo premio di una carriera esaltante, il regista venne arrestato. Il suo nome era sempre nella lista dell’Interpol. Quel suo passato rispuntava sempre come un fungo. Dopo un paio di mesi di carcere e altri di arresti domiciliari, la Svizzera negò l’estradizione.

Negli anni uomini di cultura si sono schierati in difesa di Polański. Altri hanno preso posizioni opposte, contestando anche la presenza sua o di suoi film in festival cinematografici. Questi hanno sempre sottolineato l’uguaglianza degli uomini davanti alla legge e il loro non separare l’opera dall’uomo.

Dal canto suo, la vittima, Samantha Geimer, si è espressa a favore della chiusura del caso, dichiarando che media e tribunali l’hanno danneggiata molto più di Polański.

Nel 2015 anche un tribunale di Cracovia ha rifiutato l’estradizione richiesta dagli Stati Uniti.

Negli anni il regista è stato accusato (ma non denunciato) da altre donne di violenza sessuale, ma ha sempre negato.

Roman Polański
Foto di Giorgio Biard, CC BY-SA 3.0.

Il ritorno di Roman Polański dopo il ’77

Nel ’79 Roman diresse Tess, tratto dal romanzo di Thomas Hardy che Sharon Tate lasciò sul comodino la sera della tragedia di Cielo Drive annotandovi che sarebbe potuto essere un buon film. In questo periodo il regista visse una storia con Nastassja Kinski, protagonista della pellicola.

Dagli anni Ottanta in poi

Nell’86 Polański diresse Pirati e nell’88 Frantic (musiche di Ennio Morricone), la cui protagonista, la parigina Emmanuelle Seigner, diventò l’anno dopo la sua terza moglie, di trentatré anni più giovane. Da questo matrimonio sono nati due figli. In un’intervista del 2019 la Seigner disse di suo marito: «È un buon marito e un padre dolce, né perverso né manipolatore, il contrario della sua leggenda. Se ha un difetto è forse l’ingenuità, sono più furba io. Naturalmente, a raccontarlo non ci crede nessuno, ma tanto è difficile spiegarsi alle persone, la gente crede a ciò a cui vuol credere, ai giornali, ai social».

Emmanuelle è stata attrice in altri film di Polański. Luna di fiele del ’92, La nona porta del ’99, Venere in pelliccia del 2013, Quello che non so di lei del 2017 e L’ufficiale e la spia di due anni dopo.

Ma il capolavoro di questi anni è Il pianista, uscito nel 2002, che Roman trasse dal romanzo autobiografico di Władysław Szpilman. Era passato meno di un decennio da Schindler’s List di Steven Spielberg, un altro colosso della cinematografia sulla Shoah. Il film di Roman vinse la Palma d’oro a Cannes e tre Oscar. La storia del pianista ebreo che sopravvive agli orrori nazisti e al ghetto era anche la storia di Roman Polański. Il regista portò così sullo schermo la tragedia della sua infanzia, forse la più grande tra tutte quelle che avevano costellato la sua storia di gloria e di buio.