Due film di Steven Spielberg

Al momento stai visualizzando Due film di Steven Spielberg

Steven Spielberg, nato a Cincinnati il 18 dicembre del ’48, ha diretto alcuni dei film più celebri di ogni tempo. Il suo cinema è spettacolare, sofisticato, ricco di effetti speciali. Ma il suo pop raffinato si è via via caricato di significati più profondi. Ecco due dei suoi capolavori.

Leggi anche Francis Ford Coppola. Tre film.

E.T. l’extra-terrestre, un film simbolo di Steven Spielberg

E.T. l’extra-terrestre è certo una delle favole più belle del cinema. È un film dove il pop di Steven Spielberg va di pari passo con la pregevolezza. La pellicola, uscita nell’82, è un simbolo di quel decennio.

La storia dell’extraterrestre lasciato per sbaglio sulla Terra, che trova protezione e amicizia in un bambino, Elliott, e nei suoi fratelli, ha commosso tutti. È impossibile non avere gli occhi lucidi davanti ad alcune scene. A cominciare da quella finale, dove E.T. ed Elliott si salutano per sempre prima che l’extraterrestre salga sull’astronave scesa a riprenderlo.

Un’icona di tolleranza

I due protagonisti, E.T. ed Elliott, apparentemente così diversi, sono accomunati dal trovarsi in un ambiente nemico. Il primo in un mondo di uomini, che se lo trovassero ne farebbero oggetto di esperimenti. Il secondo in un mondo di adulti, così lontani dalla fantasia e dalla purezza dei bambini. Ma i due oppongono al contesto avverso la loro innocenza e la loro amicizia.

Con questo film, Steven Spielberg contesta l’aridità dei grandi. E.T. l’extra-terrestre abbraccia la prospettiva dei piccoli. Perché sono i bambini, nella loro ingenuità, ad accogliere il diverso. Questa è una pellicola per i bambini, per il bambino che è dentro ognuno di noi, sepolto dalle logiche del mondo. È un film che risveglia la nostra innocenza.

E.T. ci spinge alla fratellanza, stimolando la parte più pura di noi. Le paure sono il frutto della maturità. L’amore e l’accoglienza sono il frutto dell’innocenza. Quest’opera si oppone all’esperienza e inneggia all’innocenza.

E.T. l’extra-terrestre è imbevuto di significati eterni. È un’icona di tolleranza. È un atto d’accusa verso il mondo adulto e le sue ridicole paure.

Schindler’s List, il film di Steven Spielberg sulla Shoah

Schindler’s List è per certo uno dei film più belli di Steven Spielberg. Per alcuni il suo capolavoro. Uscito nel ’93, ebbe un consenso universale di critica e di pubblico. Incassi enormi e recensioni calorose. E le poche voci discordanti vi riconobbero comunque momenti di poesia e di commozione. In più la pellicola tornò dalla cerimonia degli Oscar con le tasche piene. Miglior film e miglior regia a Steven Spielberg e altre cinque statuette, su dodici nomination. Ma l’opera va oltre tutto questo. Schindler’s List è una pellicola immortale, carica di orrore e di umanità. Con quella contrapposizione di bene e male, di compassione e malvagità, è un film senza tempo, che basterebbe da solo a fare di Steven Spielberg una leggenda del cinema.

La storia di Oskar Schindler, tratta dal romanzo di Thomas Keneally, intrecciata alle tante storie anonime di uomini e di donne che popolano il film, ci commuove e ci commuoverà sempre. Schindler, imprenditore nazista che salva più di mille ebrei con il pretesto di impiegarli nella sua fabbrica di Cracovia, introduce nel discorso sul male e sul bene il rapporto tra il male e il bene. È infatti nel male che ci si può pentire.

Steven Spielberg realizzò uno dei più bei film sulla Shoah
Foto di Karsten Winegeart su Unsplash.

Il bianco e nero e la bambina in rosso

Tranne che per il prologo e per l’epilogo, Steven Spielberg girò il film in un bellissimo bianco e nero. Le motivazioni di questa scelta sono varie. Innanzitutto l’assenza di colore dà alla pellicola valore di documento, essendo perlopiù in bianco e nero le testimonianze visive degli orrori nazisti. Poi dà a quegli orrori tratti di atemporalità. In più toglie la luce da quelle storie di bestialità e di lacrime indicibili.

Unica macchia di colore è il rosso del cappottino della bambina che tenta di salvarsi durante il rastrellamento del ghetto. La bambina la ritroveremo poi morta, con il suo cappottino rosso, in un mucchio di cadaveri. Molto si è detto sul simbolismo di questa intrusione cromatica nella limpidezza di quel bianco e nero. La bimba appare in due momenti decisivi del percorso di ravvedimento di Schindler, e il suo indumento forse li sottolinea. O forse quel rosso è il sangue di quei ghetti e di quei lager. Forse la speranza. O l’innocenza della bambina. Non lo sapremo mai. Ma resta quella macchiolina imbevuta di ispirazione e di poesia, venuta fuori dagli abissi di Spielberg.