Walter Chiari. La biografia

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Walter Chiari (Annicchiarico) nacque l’8 marzo del ’24 a Verona da genitori pugliesi emigrati al Nord. Nel ’33 si trasferì a Milano per via del lavoro del padre, funzionario di Pubblica sicurezza. Milano sarebbe diventata la sua città.

Era ancora giovanissimo Walter quando, alla fine degli anni Trenta, lasciò gli studi e cominciò a lavorare come operaio. Negli spazi ricreativi c’erano la boxe e l’intrattenimento. Walter prese così la strada dello sport e quella dello spettacolo. Spettacolo si fa per dire. Però il ragazzo imparava, recitava barzellette, prendeva confidenza con il pubblico.

Negli anni della guerra Walter frequentava i palcoscenici di serie B. O meglio, di serie C. Ma da qualche parte si doveva cominciare. Il suo avanspettacolo dilettantistico era comunque una scuola, che avrebbe portato i suoi risultati. Walter si sentiva a suo agio su quei palcoscenici.

Finché una sera…

Il primo mattone del futuro

Il teatro Olimpia di Milano aveva tra gli spettatori Walter. Il comico che sarebbe dovuto salire sul palco era malato. La soubrette chiese se c’era uno del pubblico disposto a sostituirlo. Walter Chiari quella sera mise il primo mattone del futuro. Salì sul palco. Recitò la parte di un balbuziente, futuro cavallo di battaglia. Fu irresistibile. L’impresario lo scritturò per cinquanta lire a serata.

Erano gli anni della guerra. Anni difficili. Ma Walter guardava al futuro. Guardava ai grandi teatri. Erano gli anni di Totò, di Macario, di Dapporto, di Taranto. Ma quell’ex operaio sentiva che c’era posto anche per lui tra le stelle della rivista. Il teatro brillante sarebbe stato la sua gloria. Nonostante i cento film e l’enorme successo televisivo, il nome di Walter Chiari sarebbe stato legato prima di tutto al legno e al sipario.

Un periodo tumultuoso

In realtà i tempi erano lunghi più del previsto. E la fame premeva. Il ragazzo si adattò a fare diversi lavori.

Verso la fine della guerra la biografia di Walter Chiari si colorò di episodi avvolti nella nebbia, tra l’arruolamento nella Decima Mas e la collaborazione con la radio clandestina che dava voce alla repubblica di Salò, tra una probabile deportazione in Germania, dove pare fu inserito nelle truppe tedesche, e un’altrettanto probabile fuga attraverso la Svizzera. Dopo la Liberazione fu prigioniero in un campo statunitense. Il comico negli anni avrebbe preferito mantenere il riserbo su quel periodo. Durante il quale il teatro sopravvisse, non si sa come, nella sua vita.

I successi teatrali di Walter Chiari

Nell’immediato dopoguerra l’Italia voleva ripartire, nonostante le mille difficoltà. Quella voglia investì anche Walter e la rivista.

Chiari prese a recitare in vari spettacoli. Strinse un rapporto profondo con Marcello Marchesi e con Marisa Maresca. Per tutti gli anni Quaranta sentì scrosciare gli applausi, teatro dopo teatro. Fu in quella fase che la sua arte si affinò.

Fondamentale anche l’incontro del ’50 con Carlo Campanini. I due strinsero un sodalizio duraturo. Presero vita alcuni celebri sketch, come quello impagabile del Sarchiapone. In questi sketch i due improvvisavano su un canovaccio. Erano invenzioni comiche che potevano nascondere significati profondi. Si veniva definendo l’arte grande di Walter Chiari, divertente e mai banale. La sua padronanza della lingua e dei dialetti era stupefacente. La sua verve narrativa anche. Era una comicità basata sulla parola e sul gesto, non sulle parrucche e sui trucchi. Era sempre il suo talento puro a essere protagonista, senza appariscenze. Chiari scovava la comicità nella realtà di tutti i giorni. Una comicità che in più era piena di malinconie, con i suoi personaggi vinti.

Walter Chiari e la televisione

Intanto la televisione cominciava a entrare nelle case. Ed era spesso un prolungamento del teatro. La rivista trasferita dietro le telecamere. Walter Chiari non poteva non esserne un protagonista.

Il comico di Verona riproponeva i suoi cavalli di battaglia con grande successo. Ma era un uomo di teatro. Così pretese sempre un piccolo pubblico in studio che gli facesse sentire l’odore della platea.

Ma il teatro era il centro di tutto per Walter. La riproposizione dei suoi sketch dietro le telecamere era qualcosa di artificioso, vissuto tra mille problemi. Figuriamoci il cinema. I suoi orari, le levatacce, le sue rigide gerarchie, la mancanza dell’improvvisazione. Ecco, ripetere una scena più volte doveva essere la cosa peggiore per Chiari.

Panelli, Mina e Walter Chiari
Walter Chiari deve la sua gloria televisiva alla riproposizione di alcuni suoi sketch teatrali. Camerieri, balbuzienti, sarchiaponi, uomini in lotta con la giacca ecc. Ma fu anche un abile conduttore. Qui è con Panelli e Mina. Canzonissima 1968.

Walter Chiari e il cinema

Il cinema per Walter era un diversivo. Gli piaceva farlo quando si recitava in spiaggia. Già questo dettaglio fa capire quale fosse la sua considerazione per il set. Walter rifiutava proposte come si può rifiutare di uscire una sera. Il cinema era qualcosa di serie B per lui, se paragonato agli applausi vivi del teatro, all’odore del velluto, al buio delle notti.

Chiari fu preso in considerazione da Federico Fellini per La strada, ma poi non se ne fece niente. Rifiutò di interpretare Bruno nel Sorpasso di Dino Risi, perché non voleva lasciare sola Ava Gardner, con cui aveva una storia. La parte fu poi affidata a Vittorio Gassman, e fu il suo capolavoro. Questo era Walter Chiari. Del resto un genio non può non avere le stravaganze dei geni.

L’artista veronese amava stare davanti al suo pubblico, nei teatri. Quello era il suo ambiente. L’improvvisazione. Lo slancio narrativo. La padronanza della parola. L’invenzione. La comicità, che nei suoi angoli reconditi poteva nascondere profondità insospettabili. Nelle pause, se ne aveva voglia, faceva il cinema.

I film di Walter Chiari

Nonostante questo snobismo verso la settima arte, Chiari recitò in più di cento film, spesso commedie leggere e dimenticabili. Ma il suo talento doveva pur venir fuori in qualche modo. E venne fuori da qualche parte. Vanità (1947) di Giorgio Pàstina, il suo esordio, con cui vinse il Nastro d’argento. Bellissima (1951) di Luchino Visconti, in cui recitò con Anna Magnani (c’è chi parla di una storia segreta tra i due). La rimpatriata (1963) di Damiano Damiani. Il giovedì (1963) di Dino Risi. Io, io, io… e gli altri (1966) di Alessandro Blasetti. Per il resto fu comunque un protagonista della commedia leggera, recitando nella parte dello sportivo, come in Totò al Giro d’Italia, nella parte di se stesso in film sulla rivista, come nei Cadetti di Guascogna, l’esordio di Ugo Tognazzi, o in Viva la rivista!, e in mille altri ruoli.

Partecipò anche a produzioni internazionali, tra le quali Falstaff di Orson Welles del ’65.

Walter Chiari e la commedia musicale

La rivista tanto amata da Walter Chiari era al tramonto, verso la metà degli anni Cinquanta. Così il grande comico prolungò la sua storia d’amore con il teatro grazie alla nascente commedia musicale di Garinei e Giovannini. Ma non era la stessa cosa. Chiari era infatti costretto dentro copioni precisi. E il suo genio stava nell’inventare, non nell’interpretare.

Ma quell’uomo era fatto per il successo. Così si migliorò. Fu in scena per mesi a New York con The gay life. Iniziò a prendere dimestichezza con la commedia musicale. E negli anni successivi fu protagonista di spettacoli di successo che culminarono con Il gufo e la gattina del ’68, portato in scena per tre anni.

Uno spirito libero e un corteggiatore

Walter era un caso a sé, nello spettacolo italiano. Non era certo incline alle regole del sistema.

Politicamente non si fece mai ingabbiare. Non disdegnava battute che gli avrebbero portato problemi ed emarginazioni, come una del ’74 su Mussolini e i politici del presente che provocò dure proteste antifasciste. Il comico non si poneva questi problemi. Non era né di destra né di sinistra. Il suo faro era l’arte. L’attore era sempre se stesso.

Spesso al centro del gossip, ebbe varie storie sentimentali. Elsa Martinelli, Lucia Bosè, Maria Gabriella di Savoia, Mina, Ava Gardner sono alcune delle donne che caddero ai piedi di quel fascino e di quell’intelligenza.

La mondanità, la giovinezza, l’ebbrezza del successo segnarono la biografia di Walter Chiari, la rockstar della televisione e del cinema italiani. Televisione e cinema che lo avrebbero emarginato per anni.

Nel ’70 l’epico donnaiolo parve mettere la testa a posto. Walter sposò a Sydney Alida Chelli. Ma non fu una storia tranquilla. D’altra parte da Chiari non ci si poteva aspettare il contrario. Il divorzio ci fu nel ’72, dopo la nascita di Simone nel ’70.

Walter Chiari e Alida Chelli
Walter Chiari e Alida Chelli nel 1970.

La caduta e la rinascita

Walter Chiari ha avuto una biografia tormentata, fuori dagli schemi. Anche per ragioni di droga.

Erano anni che faceva uso di cocaina quando un giorno di primavera del ’70 fu arrestato per spaccio. Sarebbe stato assolto un anno dopo da quest’accusa ma condannato con la condizionale per detenzione di droga. I mesi passati a Regina Coeli furono uno spartiacque nella vita e nella carriera di Walter. Che da allora fu isolato dalla Rai e dal cinema. Qualche apparizione sporadica e qualche ruolo secondario. Nient’altro. Il re era caduto. Ma la sua arte era viva.

Il vecchio leone e il suo talento ricominciarono dalle periferie, dalle televisioni private. Ricominciarono soprattutto dalla sua Milano e dal suo teatro. Walter risalì, serata dopo serata, applauso dopo applauso. Arrivando alla fine degli anni Settanta di nuovo in cima, per esempio con la commedia di Paolo Mosca Hai mai provato nell’acqua calda? e con la riproposizione del Gufo e la gattina. Ancora tournée trionfali. Grazie al rapporto diretto con il pubblico Chiari aggirò i pregiudizi che lo investivano dall’alto.

Il destino tumultuoso di Walter Chiari

Ma il destino di Walter Chiari era quello che era. Tumultuoso e imprevedibile. Così, nell’estate dell’84, quel destino tornò a manifestarsi. Stavolta sotto forma di una calunnia. Il pentito Giovanni Melluso fece il nome del comico in un’inchiesta sul traffico di droga. Furono fatti anche i nomi di Enzo Tortora e di Franco Califano. Chiari fu prosciolto in istruttoria. Ma si sa come vanno queste cose. Quel nome era stato comunque sporcato.

Verso la fine

Il vecchio leone era stanco. La Tv e il cinema ora erano più che altro un ricordo. I bei tempi erano andati. Furono però rilevanti Storia di un altro italiano (1987), documentario della Rai che lo celebrava, e Romance (1986), film di Massimo Mazzucco, che gli valse a Venezia gli applausi e la candidatura per la miglior interpretazione maschile. Ma erano le ultime gocce di una carriera che ormai si reggeva sui ricordi.

Ma non proprio le ultime gocce. Perché ancora una volta Walter ricominciò dai teatri, la base della sua vita professionale. Ricominciare è il verbo giusto. Perché l’attore prese a riproporsi come un esordiente. Del resto, a disagio tra le regole del sistema, aveva sempre puntato solo su se stesso e sulla sua arte. Quest’ultimo scorcio di carriera trovò il suo culmine nel Finale di partita di Samuel Beckett, dove Chiari recitò con Renato Rascel. Il successo di pubblico e di critica certo gli ricordò gli anni d’oro.

La morte

Ma Walter Chiari era stanco, solo, quasi povero, dopo aver sperperato denaro anche per generosità. A fargli compagnia era la ricchezza dei suoi ricordi grandi.

Non aveva settant’anni quando la mattina del 20 dicembre del ’91 fu trovato morto in un hotel della periferia di Milano. La sera prima l’aveva stroncato un infarto.