The Man Who Sold the World è una delle canzoni più celebri dell’album omonimo di David Bowie, uscito nel novembre del ’70. Nel tempo si è affermata come uno dei pezzi più iconici dell’intera discografia bowiana, con quel mix di malinconie e di sapori underground. Il brano uscì in 45 giri solo nel ’73.

The Man Who Sold the World, il via alla fase più sperimentale di David Bowie
Il testo poetico del brano non è facilmente decifrabile. Né d’altra parte lo deve essere. Un testo inquieto che amplifica i tormenti di quella melodia universale, tra le più prestigiose di Bowie.
Il 33 che contiene quel gioiello era l’inizio della fase più esaltante di David. Gli anni Settanta sono stati in effetti il periodo di massimo fulgore del Duca Bianco. Gli anni più sperimentali, quelli del glam e di Heroes, vetta della trilogia berlinese.
Quel 33 era l’inizio di quelle sperimentazioni, delle pose sessualmente ambigue, delle provocazioni, della modernità, delle disperazioni tradotte in melodie leggendarie. In quell’album, malinconie e raffinatezza si accompagnavano al rock duro. Sapori avveniristici e strazi dell’animo. E tutto era come un mix di sincerità e di artificio.
Il rock di Bowie era nuovo. Non era spontaneo. Ma l’esito era sincero. Il Duca manipolava il rock per dar forma alle sue disperazioni. The Man Who Sold the World racchiudeva in germe molto del Bowie degli anni Settanta.
Il brano omonimo ebbe poi nuova vita nell’autunno del ’93, quando Kurt Cobain, a pochi mesi dalla morte per suicidio, ne fece, in un celebre concerto acustico, una cover indimenticabile. Kurt confidò, tramite quella melodia, tutti gli strazi del suo animo.

Foto di julio zeppelin, CC BY-ND 2.0.