I Simple Minds hanno avuto una carriera pluridecennale, ma le canzoni più belle appartengono perlopiù agli anni Ottanta. In quel decennio la band, partita dalla sperimentazione, che era influenzata dall’elettronica dei Kraftwerk e da David Bowie, è approdata a un pop rock più commerciale. Così è riuscita a piazzare, nei primi Ottanta, alcuni vertici dell’elettronica, e poi alcune hit di quell’epoca.
Di seguito cinque delle canzoni più belle dei Simple Minds.
I Travel
I Travel apre Empires and Dance, il terzo album della band scozzese, uscito nel settembre dell’80. Jim Kerr e soci non erano ancora le star che sarebbero diventate. La loro new wave era ancora elitaria. I Travel si caratterizza per l’elettronica dal sapore futuristico, per i toni cupi, per il battito ossessivo. Ma la bellezza di questo brano viene anche dall’incontro di questo synth da sottoscala con i ritmi da discoteca. Si balla al ritmo delle inquietudini. E della voce indimenticabile di Jim Kerr.
Someone Somewhere (in Summertime)
I Simple Minds pubblicarono Someone Somewhere (in Summertime) nel novembre dell’82 come terzo e ultimo singolo dell’album New Gold Dream (81–82–83–84). Il suo successo fu inferiore a quello di altri episodi del 33. Ma il brano, partito in sordina, senza l’ausilio di un video, si è affermato nel tempo, aiutato dai concerti. Oggi è considerato un classico dei Simple Minds.
Someone Somewhere (in Summertime), come l’album da cui proviene, è una sintesi di raffinatezza e di pop più commerciale. Da un lato le atmosfere inquiete, le parole intrise di malinconia e pioggia, di aspirazione all’estate e alla fuga. Dall’altro i tappeti elettronici che richiamano il sound degli anni Ottanta. Quel sound etereo che ha fatto la fortuna del decennio, diventandone un simbolo. Someone Somewhere (in Summertime), così come tutto l’album, riuscì ad accordare il consenso popolare e quello della critica.
Don’t You (Forget About Me)
Ed eccoci al brano per il quale i Simple Minds sono diventati una band planetaria. Don’t You (Forget About Me) fu una specie di casualità nella storia della band scozzese. Ma quella casualità ne cambiò il percorso e i conti in banca.
Il brano fu scritto da Keith Forsey e da Steve Schiff. Sia Bryan Ferry che Billy Idol rifiutarono la canzone. In realtà la rifiutarono anche i Simple Minds. Ma vennero convinti a cantarla. La band scozzese diede una sistemata a quel pezzo romantico per ragazzine e lo registrò in quattro e quattr’otto. Don’t You fu scritta per le musiche del film Breakfast Club, e fu pubblicata come primo singolo estratto dalla colonna sonora nel febbraio dell’85. La canzone fu un successo enorme. I Simple Minds non la pubblicarono nell’album successivo.
Dopo quel successo, Jim Kerr e soci si accasarono nel mainstream, lasciando in sottofondo il synth ricercato e oscuro delle origini. Del resto l’ebbrezza del successo seduce. Ma va detto che Don’t You è uno di quei brani capaci di restituire i sapori di un’epoca. La sua diffusione sconfinata lo ha caricato di ricordi ed emozioni.

Foto di Manfred Menken su Flickr, CC BY-SA 2.0.
Alive and Kicking
Dopo Don’t You, ebbri per l’improvvisa popolarità, i Simple Minds pubblicarono Once Upon a Time nell’ottobre dell’85. L’album fu un successone. Le origini della band erano sempre più lontane, coperte da un pop buono per tutti. Un pop che era comunque accattivante. Il primo estratto del 33 fu Alive and Kicking, che arrivò nelle orecchie di tutti. L’enfasi del brano faceva parte del gioco e del nuovo corso della band. Un pezzo che appartiene alle memorie degli anni Ottanta e della mia giovinezza.
Mandela Day
Nella seconda metà degli anni Ottanta, i Simple Minds cominciarono a impegnarsi politicamente. L’11 giugno dell’88 parteciparono, a Wembley, a un grande concerto organizzato per i settant’anni di Nelson Mandela, tenuto ancora in prigione dal potere razzista del Sudafrica. In quell’occasione cantarono un brano dedicato a Mandela. Questa canzone, Mandela Day, fu poi inserita nell’album Street Fighting Years, l’ottavo della band, pubblicato nel maggio dell’89.
Gli anni d’oro erano passati, ma i Simple Minds erano ancora in grado di piazzare ottime canzoni come questa. Il brano è sincero e il sound della band è riconoscibile. Un brano che, al di là dell’occasione da cui è nato, è buono per ogni tempo, ché le ingiustizie e i razzismi ci saranno sempre. Infatti i Simple Minds hanno continuato a cantarlo anche dopo la liberazione di Mandela.