Nata a Colonia nel ’38, Christa Päffgen, in arte Nico, è una delle figure più leggendarie del rock.
Dopo aver perso il padre in un campo nazista, venne cresciuta dalla mamma in una Berlino desolata. Le macerie dei primi anni ne deviarono la mente.
Nella prima gioventù Nico fece più tentativi, dalla moda al cinema.
Poi, nel ’66, la svolta. New York. Andy Warhol la volle nella sua Factory.
Questo ritrovo sulla Quarantasettesima est era un misto di perversione e rock, avanguardia e sadomasochismo. Christa Päffgen fu messa al fianco dei Velvet Underground, protagonisti della Mela notturna. Fu un incontro devastante.

Nico e i Velvet Underground
I Velvet cantavano la dannazione dei bassifondi newyorkesi, fatti di alienazione, delinquenza, disperazione. In più Christa vi impiantò il suo canto glaciale e tenebroso. Il 33 The Velvet Underground & Nico (1967) fermò quei demoni notturni, imponendosi come pietra miliare di un’élite maledetta.
Gli ambienti sotterranei, angosciosi, asfissianti, decadenti, metropolitani. La voce apatica di Lou Reed. Poi quella immobile, dark e atemporale di Christa Päffgen. Le droghe. Le depravazioni sessuali. Le notti lascive e lo stordimento dei risvegli. La New York d’avanguardia. I frastuoni. Le atmosfere ossessive. The Velvet Underground & Nico mise le basi di tutto il rock alternativo.
Verso la carriera solista
Per problemi di convivenza, la cantante tedesca abbandonò il gruppo dopo il folgorante esordio, avviandosi verso un percorso aristocratico da solista. Importante per la sua evoluzione fu Jim Morrison, che le insegnò i segreti della scrittura.
I pochi 33 di Nico ci regalarono testimonianze dall’inferno. Un dolore fermo e definitivo, un canto immobile e agghiacciante. Litanie lugubri. Quintessenza dei suoi deliri furono The Marble Index del 1968 e Desertshore del 1970, prodotto da John Cale.
Nico e la desolazione di Desertshore
In Desertshore sono lontani gli episodi decadenti di The Velvet Underground & Nico. Il dolore di Christa non è più dolore ma dolore pietrificato. I suoi accenni funerei di The Velvet Underground & Nico qui diventano qualcosa di definitivo. Così quello che viene fuori dai solchi di Desertshore è una tragedia irrevocabile, una condizione assurda senza possibilità di redenzione. Christa Päffgen non canta, ma geme e si contorce. Le sue litanie sono un tutt’uno con i lamenti del suo armonium, dell’organo di John Cale, di quella musica scarna e liturgica. La terra cantata da Christa è una terra desolata. Christa tenta di comunicare qualcosa di incomunicabile. La sua è una mente deviata. Desertshore è un disco terrificante, e in questo sta la sua bellezza senza tempo.
Si sa, Desertshore precorre i Cure e tutta la dark wave. Ma la cantante tedesca è indietro ed è avanti. Nico è Nico, perché parla un linguaggio fuori del tempo e dei generi.
In alcuni momenti riesce ad accennare delle melodie, e questi tentativi sparsi rendono il tutto ancora più agghiacciante. Qua e là diventa una bambina che intona cantilene inquietanti. Poi il quarto episodio del disco, Le Petit Chevalier, una filastrocca cantata in francese dal piccolo Ari (il figlio di Christa), è raccapricciante.
Nonostante le differenze tra un brano e l’altro, la sensazione che prevale è quella di trovarsi davanti a un tutto continuo e compatto. Alla fine, tutta la carriera di Christa Päffgen non è stata altro che un lamento solenne.
La morte
Con il tempo Nico è diventata un fenomeno d’élite e un’icona del rock sperimentale.
La Päffgen trasandata degli anni Ottanta era lontana dalla dea fatale dei Sessanta, protagonista delle notti warholiane (guarda alcune sue foto). Ma tutta la sua vita, in un modo o nell’altro, è stata bohémien e rock, tra droghe, solitudini, amori leggendari.
Christa Päffgen morì giovane. Era il 18 luglio del 1988 quando, in seguito a una caduta da bicicletta, a Ibiza, se ne andò per emorragia cerebrale a quarantanove anni.