Con Abbey Road, pubblicato il 26 settembre del ’69, finivano gli anni Sessanta, un album che era una splendida sintesi, dove le recenti conquiste dei Beatles convivevano con il recupero di melodie più tipicamente beatlesiane.
La prima facciata colma di grandi brani, tra cui Something, il capolavoro di George Harrison, la seconda di un meraviglioso medley targato Paul McCartney.

Foto di Rudy and Peter Skitterians da Pixabay.
Abbey Road è tra i gioielli inestimabili dei Beatles, gli anni Sessanta colti dal crepuscolo, con le sue atmosfere malinconiche, ed è l’ultimo sforzo di unità e magnifica ricerca in studio.
Come Together e Because di John Lennon stanno tra i vertici dell’opera beatlesiana, il medley architettato da Paul è splendido e nostalgico, perfetto epilogo della storia della band. Paul McCartney, più di Lennon, pensava che l’architettura fosse un lasciapassare per l’onestà, John amava essere più diretto. La grandezza dei Beatles, di cui più generazioni si sono meravigliate, è anche un punto d’incontro di queste due concezioni.
Abbey Road è colmo di spunti malinconici e nostalgici, sancisce la fine del sogno. Il ’69 è l’anno di Woodstock, gli studenti sono nelle piazze. Ma i ragazzi di Liverpool guardano agli anni Sessanta con gli occhi del futuro e del rimpianto, ne percepiscono la fine e il languore. Abbey Road è imbevuto di un clima autunnale. È la festa colta sul finire. È il momento dei saluti. L’epilogo della gioventù e delle illusioni.