Il neorealismo fu un movimento culturale che si sviluppò in Italia tra le fine della Seconda guerra mondiale e il primo dopoguerra. Diede i suoi esiti maggiori nel cinema. Fu una grande ondata di modernità che ci invidia tutto il mondo. Fu anche la prima delle ondate di rinnovamento che riguardarono vari paesi, per esempio la Francia. Al neorealismo appartengono alcuni capolavori del cinema. Film universali che contribuiscono a fare dell’Italia uno dei paesi più prestigiosi in ambito cinematografico.
Il neorealismo fu anche uno slancio di fiducia. Un tentativo di rinascita sulle distruzioni della guerra.
I film neorealisti furono girati in condizioni precarie. Gli studi di Cinecittà erano indisponibili. La pellicola scarseggiava. I budget erano ridotti. Ma questo, più che un limite, era una spinta ulteriore a ripudiare lo spettacolo e a valorizzare la realtà.
È proprio l’attenzione alla realtà a distinguere il neorealismo. La guerra, le strade distrutte, le difficoltà del dopoguerra, le macerie su cui l’uomo cercava di costruire il futuro. Ma, se questi film avevano valore di documento e di denuncia, erano anche grande poesia. Una poesia cavata dalla strada, colma di lacrime e di angoscia.

Il neorealismo nel cinema
Queste pellicole erano ostacolate dalla politica. Si prenda Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. Da una parte la Dc ne contestò la cattiva pubblicità fatta all’Italia, dall’altra la sinistra non ne approvò la mancanza della lotta collettiva. In generale queste opere davano fastidio perché vere, perché basate sulla denuncia e sulle lacrime.
Protagonisti di questi film erano la guerra e il dopoguerra, con le loro verità dolorose e nude. Erano operai, disoccupati, ragazzini che pulivano le scarpe agli americani. Protagonista era una Roma desolata, che faticava a rialzarsi. Protagoniste erano le strade, con l’odore della guerra.
A dare valore di documento contribuiva l’impiego frequente di attori non professionisti. In particolare De Sica si rivelò abilissimo nel dirigere i bambini. Decisivo era anche l’uso del dialetto. E decisiva era l’importanza data ai tempi morti, che nel neorealismo erano vivi. Perché protagonista doveva essere la realtà, non la sua semplificazione. Il regista doveva limitarsi a fotografare un mondo ferito. La grandezza di questi registi stava nel farsi piccoli.
I maestri
Se si cominciò a parlare di neorealismo con Ossessione (1943) di Visconti, il primo film neorealista fu Roma città aperta di Roberto Rossellini del ’45, con Anna Magnani e Aldo Fabrizi. La pellicola racconta la paura e la resistenza della popolazione romana durante l’occupazione dei nazisti, tra morte, torture, arresti. Rossellini diresse altre due vette del neorealismo, Paisà e Germania anno zero.
L’altro maestro fu Vittorio De Sica, che spostò l’attenzione dalla guerra al dopoguerra. Sciuscià del ’46 segnò la sua adesione al cinema della verità. Ladri di biciclette del ’48, meraviglia del cinema, era la purezza del neorealismo, con gli indimenticabili tempi morti alzati a protagonisti, con quella poesia tirata su dal niente, da una storia esigua di dolore e di precarietà.
Un caso a sé è La terra trema di Luchino Visconti. La sua adesione alla realtà è così stretta da essere superamento della realtà. Gli attori non professionisti di Aci Trezza parlano infatti il dialetto incomprensibile di quel lembo di Sicilia. Un dialetto che così si fa suono, sillabe evocative, dolore universale.