La Cinquantaduesima strada. Jazz e leggende

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Il jazz è musica, certo. Ma il jazz è anche leggenda e pozzo di storie. Una leggenda a volte inseparabile dalla musica. Una leggenda fatta di notti, eccessi, whisky con ghiaccio, prostitute. E se si parla di notti jazz non si può non pensare alla Cinquantaduesima strada. La strada del jazz. La strada. Il cuore del jazz newyorkese. Dagli anni Trenta fino a tutti i Cinquanta, in quella traversa di Manhattan, c’erano locali a non finire, c’erano notti lunghe. Lì suonavano e si incontravano i più grandi. In quei buchi fumosi e squallidi nacquero progetti, idee. La storia del jazz è passata anche da lì, dalla Cinquantaduesima strada.

L’inferno e la favola della Cinquantaduesima strada

All’inizio degli anni Cinquanta cominciò il suo declino. Alcuni locali chiusero. Gli spogliarelli diventarono l’attrazione principale relegando le trombe e i sassofoni a musica di accompagnamento.

Oggi nella strada non è rimasto nulla di quella favola. Ma è rimasto il suo profumo.

Negli anni Trenta la regina era Billie Holiday. Nei due decenni successivi passarono in molti di lì. Charlie Parker, tanto per dirne uno. A lui sono legati racconti e aneddoti. Storie di donne e di droghe. Storie di jazz, soprattutto. Di lì passò Miles Davis. Di lì passarono tanti altri, con le loro disperazioni e il loro genio.

Erano locali squallidi. Tutto quell’ambiente e tutte quelle notti erano squallidi. Non c’era nulla di poetico. Razzismo, violenza. I proprietari erano spesso legati alla malavita. Agli afroamericani era vietato l’accesso, tranne a quelli che dovevano suonare, si capisce. Charlie Parker, negli anni della decadenza mentale, non poteva entrare. Tra quelle mura tutto era squallido. Ma c’era il jazz.

Cinquantaduesima strada
La Cinquantaduesima strada alla fine degli anni Quaranta.
Foto di William P. Gottlieb.

Lì dentro c’erano geni che cercavano di sopravvivere guadagnando qualche soldo, poveracci che suonavano meraviglie per qualche birra, futuri capitoli della musica del Novecento che attraversavano l’inferno. Perché, come dice Carl Gustav Jung, «nessun albero può crescere fino al paradiso se le sue radici non scendono fino all’inferno». Già, i salotti sono per gli artisti di serie B. I grandi passano attraverso i buchi fumosi, attraverso gli eccessi e i rischi, perché la loro storia, in alto come in basso, non è la storia di tutti.