Miles Davis aveva la capacità di anticipare le tendenze, di vedere prima e meglio degli altri. Ma le sue rivoluzioni erano morbide, inserite nella tradizione e nel jazz, mai astruse e fini a se stesse. Tra le sue rivoluzioni, la più grande è quella che viene fuori dai solchi di Kind Of Blue, pietra miliare della musica tutta del Novecento. Era il 1959 quando il trombettista entrò in studio per dare alle leggende un’opera che racchiude tutti i sapori del jazz e della notte.

Kind Of Blue, la perla di Miles Davis
Questo disco è tra i primi di jazz modale. Questo stile dà più libertà alla melodia, a discapito della complessità armonica. Dopo l’ondata bebop, Davis intuiva l’esigenza diffusa di tornare all’improvvisazione melodica. Il disco diede corpo a quell’esigenza.
L’improvvisazione sulla melodia strizzava l’occhio alle origini del jazz, e la grande libertà d’improvvisazione voluta da Davis anticipava le libertà estreme del free. Kind Of Blue aveva un sapore atavico, ma era un 33 modernissimo.

Una musica ideale
Dopo aver messo insieme, da grande organizzatore, una formazione perfetta, Davis arrivò in studio con qualche schema buttato giù poche ore prima, su cui il gruppo, dopo una rapida visione e qualche tentativo, ricamò quella musica contemplativa e universale. Le leggende raccontano che fu ritenuta definitiva ogni esecuzione portata a termine per la prima volta (e siamo vicini al vero). Era la primavera del ’59.
Fu la rivoluzione modale. Ma il carattere rivoluzionario di Kind Of Blue, il trattare in modo nuovo l’aspetto armonico, era tutto teso a valorizzare le melodie e i suoi profumi arcaici. Da qui il cortocircuito di tradizione e modernità e la bellezza senza tempo di questa musica ideale.
Ma andiamo con ordine.
Miles Davis verso Kind Of Blue
I primi anni Cinquanta erano gli anni in cui Miles iniziò a scrivere la sua leggenda.
Era un periodo turbolento sotto l’aspetto personale, in cui si consolidò il suo rapporto con le droghe. Ma erano anni di grande creatività. Ogni successo nasce da periodi bui, e il successo leggendario di Davis non poteva che nascere dall’inferno.
Tornato a New York, salutate Parigi e Juliette Gréco, di cui si era innamorato, con la Francia e la nostalgia nel cuore, con il suo matrimonio che scricchiolava, il trombettista iniziò a fare uso di eroina. Miles non era ancora l’uomo ricco che di lì a poco sarebbe diventato, e per procurarsi l’eroina ricorse a prestiti e allo sfruttamento della prostituzione.
In quel periodo ebbe guai con la legge, in particolare per possesso di droga.
La Cinquantaduesima strada era il lato bohémien e jazz di Manhattan, con i suoi locali e con le sue notti. Ma quella leggenda si nutriva anche di siringhe e di disperazione. Davis non ne restò fuori, come tanti suoi compagni di jazz e di notti lunghe.
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Lo stile signorile
Ma i suoi fantasmi erano anche il nutrimento della sua arte incomparabile. Accompagnato da gruppi d’occasione, Miles Davis tirò fuori dischi di altissima qualità, attraverso cui si delineava la sua arte maggiore, che sarebbe esplosa nel ’59 con Kind Of Blue.
Nel ’55 Miles diede vita al suo primo gruppo fisso, un quintetto formato, oltre che dalla sua tromba, da John Coltrane al sax tenore, Red Garland al pianoforte, Paul Chambers al contrabbasso e Philly Joe Jones alla batteria. Questi signori e Julian «Cannonball» Adderley registrarono, poco prima della primavera del ’58, Milestones, una delle vette del jazz.
In questi anni furono prolifiche anche le collaborazioni con Gil Evans.
In generale, nei tanti dischi di questo periodo, che era, tra entusiasmi, idee, collaborazioni, eccessi, uno dei più eroici e leggendari del jazz, prendevano piede la semplificazione armonica e la libertà melodica. E si definiva lo stile di Davis: un’atmosfera signorile, un’improvvisazione meditativa, ricca di pause e sprazzi di poesia. La sua tromba puntava sul togliere e sull’essenzialità, piuttosto che sull’accumulo e sulla tecnica. Miles Davis si stava dirigendo a grandi falcate verso Kind Of Blue, una delle cose più poetiche che il Novecento abbia prodotto.