Pier Paolo Pasolini fu ucciso nella notte tra il 1° e il 2 novembre del ’75, all’idroscalo di Ostia. La verità giudiziaria parla di omicidio compiuto dal diciassettenne Pino Pelosi al termine di una lite scaturita dagli approcci sessuali dello scrittore. Questo racconto ha il sostegno di molti intellettuali, per i quali la morte di Pasolini è da inquadrare nella sua storia maudit. Ma c’è chi intravede trame oscure e complotti politici.
Cinque anni dopo De André scrisse, sulla morte di Pier Paolo Pasolini, Una storia sbagliata. La canzone gli era stata commissionata dalla Rai, che la utilizzò come sigla di un programma su questo delitto e sul delitto Montesi.
Ad avvicinare i due, Pasolini e De André, erano l’uso dei dialetti, l’attenzione per gli ultimi, e il non chiudersi in un mondo culturale ovattato.
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Punti di contatto tra Pier Paolo Pasolini e Fabrizio De André
L’esordio letterario di Pasolini c’era stato nel 1942, con Poesie a Casarsa, pubblicate a sue spese. In questa raccolta il friulano casarsese, l’idioma della madre del poeta, è una lingua genuina, attraverso cui l’autore recupera le radici più profonde. Ed è a un tempo, perché non è la lingua naturale di Pasolini (nato a Bologna e vissuto in varie città), un raffinato strumento letterario. Qui è uno dei punti di contatto tra Pasolini e De André, che in Creuza de mä si serve del genovese (la lingua della città di Fabrizio ma non la lingua di Fabrizio, cresciuto in un ambito familiare dov’era bandito il dialetto) da intellettuale.
In più: sia in Pier Paolo Pasolini che in De André era centrale l’attenzione per gli esclusi. Nel sottoproletariato delle borgate romane, il poeta emiliano ritrovava un mondo primitivo, genuino, non contaminato dalla Storia, non lontano dalla Casarsa idealizzata della prima silloge. L’emarginazione e la solitudine patite da Pasolini lo portavano ad avvicinarsi ad altri tipi di emarginati. Così la solitudine che Fabrizio pativa per la sua aristocrazia mentale lo spingeva ad accostarsi a ladri e puttane, ad assassini e zingari, a figure così lontane e a un tempo così fraterne.
In più Pasolini, al pari di De André, non concepiva l’arte come un mondo chiuso in sé. Da qui il suo antiermetismo, la poesia degli ultimi anni, luogo anche della polemica politica, l’attività di regista.
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Differenze tra Pier Paolo Pasolini e Fabrizio De André
Ma, mentre il lavoro di Pasolini è un continuum, dove molti episodi, che di per sé concedono molto alla provvisorietà, all’attualità politica e sociale, li dobbiamo per forza mettere in relazione gli uni con gli altri, e dove i suoi mestieri (poeta, critico, romanziere, regista, giornalista e polemista in genere) vivono di un interscambio continuo, l’opera di De André vive di lavori più autonomi.
Inoltre l’attività di Pier Paolo Pasolini è piena di azzardi, che portano a versi potenti ma anche a «vuoti e contraddizioni logiche» (Pier Vincenzo Mengaldo). Vuoti nascosti dalla sua «autorità sapienziale» (sempre Mengaldo), garantita dall’eloquenza e dalla metrica. Al contrario, gli azzardi di De André rendono viva l’opera senza stare in superficie. E se in dischi come L’indiano, con la stretta relazione tra sardi e indiani, o Creuza de mä, con il dialetto genovese considerato la meno neolatina tra le lingue neolatine, c’è ancora qualche appariscenza, nella sintesi ultima di Anime salve ogni arditezza è come ovattata.
Un comune bersaglio polemico
In ogni modo, tra i vari punti di contatto e le differenze tra i due, ciò che più di tutto è alla base del rapporto tra Pier Paolo Pasolini e De André è la comune contestazione delle prevaricazioni delle maggioranze. Il bersaglio polemico, per entrambi, è l’intolleranza dell’eccezione.