Fabrizio De André. Da Creuza de mä ad Anime salve

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Il progetto di Fabrizio De André che stava alla base di Creuza de mä (1984) era quello di avvalersi delle parole di una lingua incomprensibile che spostassero l’attenzione sulla musica e di una musica che spostasse l’attenzione sulle parole in modo che parole e musica si fondessero in un linguaggio specifico. Era, insomma, quello di trovare un linguaggio che non fosse un accostamento di versi e note ma suono, quello dei versi e quello delle note.

Gli strumenti scelti dal cantautore genovese erano di tutta l’area del Mediterraneo. La lingua, in accordo intimo con questa scelta, era il dialetto genovese, che accoglie vocaboli di origini arabe e turche importati durante gli antichi traffici. Un dialetto, quello usato da Fabrizio De André, artificiale e cosmopolita, ottenuto frugando tra i vocabolari e le pieghe dell’anima.

Creuza de mä di Fabrizio De André
L’indimenticabile copertina di Creuza de mä, il disco che segna la svolta etnica di De André.

La Genova di Fabrizio De André

Il tendere all’accordo di aristocrazia mentale e tratti popolari, di universale e particolare, è estremo. L’artista ligure scorge il mondo nella provincia.

La Genova di Creuza de mä è il centro di tutto. E un simile dialetto, da cui la strumentazione mediterranea tira fuori profumi universali, è adatto per descrivere quadretti provinciali, di oggi o di ieri, per esempio in  duménega, e scenari più ampi, come nell’immensa Sidún, dove un padre palestinese piange il figlio stritolato da un carro armato israeliano.

Fabrizio usa il dialetto in modo cerebrale. Innalza verità domestiche a verità universali.

In Creuza de mä, per le caratteristiche di questo Lp, tutto basato sul progetto, che più che fondare le singole invenzioni quasi coincide con tutta l’invenzione, si esalta di Fabrizio De André la capacità di scelta, l’essere architetto che sovrintende alla realizzazione e delega i collaboratori. Ricorda infatti Pagani, autore delle musiche: «Deciso dunque il piano generale, gli esposi la mia idea di andare a documentarmi, con un viaggio per l’appunto in Algeria. Lui mi disse: “Sì, sì, però vacci tu, belìn, non mettermi in mezzo”».

E anche i testi non erano così importanti per De André. Importante era stata la sua scelta di far reagire il genovese con gli strumenti mediterranei. Per questo il cantautore genovese li scrisse con naturalezza e vi ritroviamo, nelle traduzioni, bellissimi accenti di fresca quotidianità.

Verso Le nuvole

Nel 1986 Fabrizio De André e Mauro Pagani salparono verso la Grecia, per un giro nel Mediterraneo. Volevano approfondire le conquiste di Creuza de mä. Abbandonato il piano, Fabrizio cominciò a pensare a un disco sulle tradizioni mongole. Stavamo sulla strada per Le nuvole (1990). Infatti già in quest’idea, che sarebbe stata abortita per difficoltà tecniche, c’era quella di proseguire l’esperienza di Creuza e a un tempo quella di allontanarsene.

Le nuvole

Il muoversi in direzioni diverse, ognuna delle quali non poteva essere seguita fino in fondo per l’impossibilità di ripetere una rivoluzione già fatta e per l’impossibilità di porsi al di fuori di quella rivoluzione tanto grande, è al fondo delle Nuvole. Pezzi in lingua e poi quelli in genovese, in sardo, in napoletano.

La collaborazione con Fossati, la conferma di Pagani e il ritorno di Bubola sono un altro segno del muoversi in modo disomogeneo.

De André imbocca strade diverse, la musicalità della lingua altra, il perno di Creuza de mä, e la comprensibilità letterale; e un punto d’incontro è Don Raffae’, scritta in un napoletano «simile a quello che gli umili adoperano quando tentano d’esprimersi in italiano» (Fabrizio).

Un caposaldo del disco è La domenica delle salme. In questo brano il cantautore genovese si oppone, anche sarcasticamente, agli eccessi di un capitalismo che trionfa sulle macerie del comunismo, anche questo quanto di più lontano dal pensiero dell’anarchico De André. Un pezzo scritto alla fine che dà più concretezza al disco.

L’eterogeneità che è alla base delle Nuvole sarà per Anime salve (1996) un preciso progetto di partenza, all’interno del quale i singoli episodi si compatteranno supremamente. Infatti Le nuvole, oltre che un disco bellissimo, è un passaggio tra i due più grandi capolavori di Fabrizio De André, Creuza e Anime salve.

Anime salve

La preoccupazione principale di Faber era quella stilistica. Ma la sua canzone è universale perché travalica i confini della canzone stessa fissandovi un alto intervento ideologico, da una prospettiva libertaria. E Creuza de mä, in cui la purezza dello stile tende a soffocare l’ideologia, nonostante la sua autonomia, è anche uno degli aggiustamenti progressivi di un’opera complessiva di cui Anime salve è l’ultimo e più grande capitolo.

«Il titolo dell’album si rifà all’etimo delle due parole “anima” e “salvo” e vuole mantenere il significato originario di spirito solitario.»

Quest’affermazione di Fabrizio ci porta al cuore del disco. La salvezza degli emarginati è enunciata nella canzone che fornisce il titolo all’Lp. Più spesso è soltanto evocata, in Prinçesa, in Khorakhané, in Ho visto Nina volare, in Le acciughe fanno il pallone,

Le acciughe fanno il pallone

che sotto c’è l’alalunga

se non butti la rete

non te ne lascia una.

E alla riva sbarcherò

alla riva verrà la gente

questi pesci sorpresi

li venderò per niente.

[…]

Ogni tre ami

c’è una stella marina

ogni tre stelle

c’è un aereo che vola

ogni tre notti

un sogno che mi consola.

Anime salve di Fabrizio De André
Anime salve, il testamento spirituale di Fabrizio De André, è perfetto in ogni dettaglio, copertina compresa.

La scrittura poetica di Fabrizio De André e Ivano Fossati e gli arrangiamenti di Piero Milesi

In Anime salve la scrittura poetica è grande perché chiede rigorosamente l’amplificazione. Resta in sottofondo, dando quanto basta il peso della poesia, che si trasferisce sulla musica e mai la soffoca, musica che si libera splendidamente e avvolge le parole.

Fondamentale la scelta di De André di collaborare con Fossati così come quella di allontanarsene e ricorrere, in una fase successiva, a Piero Milesi, che arrangia il disco. Tantissimi gli strumenti usati, anche etnici, dall’arpa paraguaiana al bongo, dal corno inglese alla mandola, ma il tutto è all’insegna del pudore e dell’essenzialità.

Anime salve, la sintesi di Fabrizio De André

La bellezza di Anime salve sta nel suo carattere di sintesi rispetto alle direzioni esplorate finora dal cantautore genovese.

Con i brani degli anni Sessanta, Fabrizio pone le basi della sua ideologia; con i lavori a tema, il disco diventa un concept; in Volume 8 e in Rimini è il suono a farla da padrone, come in Creuza, che però è un Lp più compiuto. Con Anime salve, De André, sulla base delle conquiste di Creuza de mä, compie un passo indietro. Recupera l’ideologia. Intreccia italiano e lingue altre (il portoghese di Prinçesa, il romanés di Khorakhané, il genovese di  cúmba e di Dolcenera). In più alterna la narrazione ad accensioni metaforiche.

Le fasi della carriera di Fabrizio, ferma restando la loro sostanziale autonomia, sono anche le prospettive diverse da cui si può guardare Anime salve, dove tutto è compattato.

La solitudine e la salvezza cantate da Fabrizio De André

Ma la bellezza di questo disco sta principalmente nel suo carattere consolatorio. Nell’emarginazione ci si può salvare così come ci si può perdere. E i personaggi di Anime salve riescono a far prevalere la solitudine salvifica su quella infernale.

Leggi anche Anime salve e la spiritualità di De André.

Un capolavoro nel capolavoro è Khorakhané, che parla dei rom, e, per estensione, degli zingari in generale. Fabrizio amava particolarmente i nomadi, che considerava la gente anarchica per antonomasia. Con la loro tradizione di vita nomade, gli zingari sono un popolo votato alla trasgressione e alla solitudine, in un mondo dove la norma sono il possesso, l’identità anagrafica, e non potevano non incontrare la sua attenzione.

Ora alzatevi spose bambine

che è venuto il tempo di andare

con le vene celesti dei polsi

anche oggi si va a caritare.

E se questo vuol dire rubare

questo filo di pane tra miseria e fortuna

allo specchio di questa kampina

ai miei occhi limpidi come un addio

lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca

il punto di vista di Dio.