Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini

Al momento stai visualizzando Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini

Il Vangelo secondo Matteo (1964) di Pier Paolo Pasolini è uno dei film più limpidi e poetici del grande regista. Pasolini restituisce il Cristo di Matteo. Senza sconti e senza lacune. Un Gesù che ammonisce. Soprattutto un Gesù dolce che consola. C’è chi ha detto che il Cristo pasoliniano è un rivoluzionario, nel senso terreno del termine. Ma il Gesù di questo capolavoro viene a salvare il mondo, proponendo la vita eterna.

A volte alza la voce, specie nella seconda metà del film. Più spesso istruisce e indica la via della salvezza. L’interpretazione di Enrique Irazoqui è memorabile.

Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini. La sacralità e il mistero

La pellicola è colma di sacro e di mistero. Gli insegnamenti e le parabole del Messia conquistano la scena. Il sacro è sottolineato dai silenzi, dai paesaggi infiniti, dai primi piani intensi.

Il regista è fedele al racconto di san Matteo. Il suo Gesù è dentro un periodo storico ed è dentro tutti i tempi. Il film è fedele a quei trentatré anni raccontati da Matteo e all’universalità di quei trentatré anni. Pasolini si nasconde dietro il racconto dell’evangelista. Si limita a portarlo sullo schermo.

La poesia è grande. Il mistero è grande. In più le sbavature degli attori non professionisti esaltano il carattere di essenzialità del film. Che non vuole essere spettacolare e perfetto, ma vuole restituirci parole eterne.

Storie umili e universali

Non sono i luoghi della Palestina lo scenario del Vangelo di Pasolini. Ché quei luoghi e quelle strade sono stati invasi dalla modernità. Il regista trova nel Sud Italia il teatro adatto a quelle vicende. Sono soprattutto la Basilicata e i Sassi di Matera a raccogliere quella storia di eternità.

Matera, scenario del Vangelo secondo Matteo di Pasolini
Scorcio di Matera. Ispiratissima la scelta di Pasolini di girare Il Vangelo secondo Matteo ai Sassi di Matera e in altre zone del Sud Italia. Da un lato il regista trovò in quei paesaggi un’evocazione dei luoghi originari, ormai modernizzati. Dall’altro lato, non essendo quei paesaggi i luoghi originari, sottolineò con questa scelta l’universalità delle vicende raccontate.
Foto di Solfaroli Renzo da Pixabay.

In più. Sandro Bernardi: «Non avendo trovato nella Palestina contemporanea tracce di questa grandezza spirituale […], Pasolini mostra una Terra Santa in cui si mescolano in una vertigine temporale i fez dei giovani fascisti, gli elmetti medievali di Piero della Francesca o i ricchi “giovanottoni” di Masolino […], per sottolineare il carattere atemporale della rappresentazione».

Splendido il linguaggio sonoro, tra Bach, Mozart, canti gospel. Musiche che contribuiscono a rendere solenni e universali le vicende avvenute in quel punto del tempo e dello spazio.

Il film vinse il Premio speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia (il Leone d’oro andò al Deserto rosso di Michelangelo Antonioni) e il Nastro d’argento alla regia. Ottenne anche tre candidature agli Oscar. Per la sua stessa natura suscitò clamori. Fu apprezzato in vari ambienti cattolici. Oggi appare chiara a tutti la sua bellezza icastica.