Horses di Patti Smith

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Con Horses Patti Smith lanciò un modo nuovo di fare rock. Era il 1975. L’album sarebbe restato il vertice della Smith, secondo molti. Certo una delle sue prove più grandi e coraggiose.

L’Lp si rifaceva al Big Bang del rock, alle sue origini selvagge. Fu proprio questo a rendere Horses un album che sputava in faccia al rock stesso, ormai lontano dalle sue origini. E fu proprio questo a fare del 33 una delle prime pietre del punk, a un passo dall’esplosione dei Ramones e dei Sex Pistols.

Patti Smith
Patti nel 2006.
Foto di Daigo Oliva da Flickr, CC BY-SA 2.0.

Horses e la voce di Patti Smith

Il punk di Horses risiedeva innanzitutto nella voce leggendaria ed eversiva di Patti Smith. Un canto che era vomito, grido, accozzaglia di suoni. Un canto che a un tempo era giovane e già maturo. Infatti Patti veniva da anni e anni di gavetta, in cui, tra lavori saltuari e giacigli occasionali, aveva scalpitato nei sotterranei del rock. Quella bohème newyorchese la Smith l’avrebbe sempre portata nel cuore.

Se la voce sfacciata e veemente è la prima cosa che colpisce di Patti Smith, l’altra componente che fa grande ogni canzone di Horses è il testo poetico. Parole piene di memoria letteraria. Testi fatti di anticonformismo e di slanci evocativi. Ma a contare in Horses è innanzitutto la parola cantata. Perché i versi della Smith sono prima di tutto suono che si fonde con la musica. Dall’irriverente Gloria (cover rivisitata del brano omonimo di Van Morrison) alla malinconica Redondo Beach (sul suicidio di una ragazza innamorata di un’altra ragazza), da Kimberly a tutto il resto, ogni brano è una pietra miliare.

Horses, album influente come pochi, è stato inserito da «Rolling Stone» (al quarantaquattresimo posto) tra i cinquecento Lp più grandi di sempre. In più la rivista ha incluso l’artista tra i cento migliori artisti e tra i cento migliori cantanti.

La copertina dell’album contribuisce a nutrirne la leggenda. Patti vestita come un uomo, che ti guarda negli occhi. La foto fu scattata da un altro mito dell’irriverenza, il fotografo Robert Mapplethorpe.