Siouxsie Sioux, l’icona dark degli anni Ottanta

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Le basi della leggenda di Susan Janet Ballion, in arte Siouxsie Sioux, nata nel ’57 a Londra, sono da ricercare nella sua infanzia, quando, bambina povera della grande periferia londinese, con un padre dedito al bicchiere, conobbe l’emarginazione. Come se non bastasse, dopo la morte del padre, Susan sopravvisse a stento a una malattia cronica dell’intestino.

I suoi miti erano le icone del rock alternativo. E alternativa Siouxsie lo è sempre stata. Tutta la sua vita è stata una vita di periferia. Periferia che però Siouxsie Sioux ha riscattato con la sua arte, che l’ha proiettata nell’olimpo delle leggende degli anni Ottanta.

Nella prima giovinezza Susan si appassionò al punk di Londra, in particolare ai Sex Pistols, che seguiva nei concerti. Concerti che erano occasioni per sfoggiare il suo nascente look cupo e provocatorio e per rimanere invischiata in risse e notti punk.

Siouxsie era fedele a se stessa, poco incline al compromesso. Questo le procurò non pochi problemi quando si trattò di farsi largo nella discografia. Così Hong Kong Garden, il primo singolo dei Siouxsie and the Banshees, la band fondata nel ’76 dalla ragazza e dal bassista Steven Severin, uscì solo nell’agosto del ’78, quando la futura sacerdotessa della notte aveva già un pubblico fedele e vari concerti alle spalle.

Il dark punk di Siouxsie Sioux

«Segnate i Banshees. Fatelo adesso.» Era una scritta comparsa sui muri di Londra all’inizio del ’78, nel pieno di quell’infuocata stagione punk. E punk era il primo 33 dei Siouxsie and the Banshees, The Scream.

Il vinile fu un successo di pubblico e di critica e uno dei più rappresentativi della fine di quel decennio arrabbiato. Ma era un punk non canonico, sporcato dalla vena lugubre di Susan, dai suoi fantasmi decadenti, da quella visione cupa maturata nell’infanzia trascorsa tra gli edifici e i disagi della grande periferia londinese.

La personalità di questa ragazza fascinosa e disturbata venne fuori. Susan non poteva certo limitarsi a essere un’epigona del punk, non poteva certo seguire binari tracciati. Siouxsie Sioux inventò il dark punk.

Siouxsie inventò anche una moda, con i suoi occhi pitturati, il suo trucco pesante, le cinte borchiate e gli stivali, i capelli dritti e il nero che la faceva da padrone. Ma sul palco il suo glamour nero e minaccioso conviveva con la sensualità. Il suo look e la sua presenza scenica fecero scuola e generarono schiere di imitatrici.

Siouxsie Sioux nacque artisticamente nel grembo del punk, resuscitò le atmosfere sepolcrali di Nico, e diede nuova vita al glam. Ma il risultato è tutto suo.

Un’arte, la sua, che ha influenzato schiere di cantanti, a cominciare da Sinéad O’Connor.

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Siouxsie Sioux
Siouxsie Sioux nel 1980.

L’icona dark degli anni Ottanta

Siouxsie portò a definizione la sintassi del dark con il quarto album dei Siouxsie and the Banshees, Juju, uscito nel 1981, che racchiude tutti i sapori della notte e delle devastazioni della sua mente. Era tutta la desolazione della periferia e della sua infanzia che veniva alla luce e a un tempo trovava il suo riscatto artistico.

In quella stagione variegata e dai contorni sfumati del post punk e della new wave, Juju ne fu subito un caposaldo.

Assecondata da un gruppo in vena, Siouxsie dispiega il suo canto inimitabile, che ora è grido, ora è lamento, ora è solennità sacerdotale che sale dagli inferi. Sillabe di dolore, paure ancestrali, incubi notturni. La strega fascinosa di Londra repelle e attrae.

L’aspetto più affascinante di Siouxsie Sioux è un ossimoro, è l’aver reso di moda l’underground, con brani quali Spellbound, Arabian Knights, altri. Senza arretrare di un passo dal suo elitarismo, senza uscire dalle sue cantine buie, questa vecchia adolescente punk ha conquistato le classifiche e i consensi. Ha intercettato le cospicue sacche di decadentismo che si annidavano tra gli sfavillanti anni Ottanta, dandogli presenza e dignità artistica.