M – Il mostro di Düsseldorf

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M – Il mostro di Düsseldorf (1931) è il primo film sonoro di Fritz Lang. Ed è uno dei capolavori del cinema.

Il montaggio sfiora la perfezione. Ogni dettaglio è al suo posto. Lang non lascia nulla al caso. L’architettura del film è mirabile. Non c’è un vuoto. Non c’è un calo di tensione. Ogni scena è necessaria. L’essenzialità è suprema.

Lang si avvale appieno del sonoro. Che non si limita ad accompagnare l’immagine ma ha un ruolo decisivo. Infatti l’assassino viene individuato grazie al motivo che fischia quando avvista le bambine. Poi è spesso la parola a creare la suspense. L’importanza del suono è del resto chiarita già dall’inizio, quando il film si apre con una voce infantile e lo schermo nero. La parola anticipa l’immagine. Il sonoro di Lang non si limita a essere progresso tecnologico ma investe la sostanza.

Lang guarda lontano. Con M – Il mostro di Düsseldorf, anticipa il noir e fa esordire sullo schermo la figura del serial killer.

Poi il grande regista si mantiene in equilibrio tra la storia e la profondità di pensiero che quella storia esprime. Il film è lontano dal cinema spettacolare. Ma lo è altrettanto dal pensiero arido e didascalico.

Noir
Foto di Renè Müller su Unsplash.

Ognuno è responsabile dell’orrore

Un assassino si aggira per Berlino (non Düsseldorf, a cui fa pensare il titolo italiano, che richiama uno dei casi a cui il film è ispirato). Ha già ucciso otto bambine. Poi ne uccide un’altra, Elsie. Le adesca con modi gentili. Gli compra dei regali.

La città è spaventata. La polizia è pressata dall’opinione pubblica. Ma di quest’assassino non c’è traccia. Sembra infatti materializzarsi dal nulla. Sembra che quando non uccide conduca una vita come tante. Niente permette di arrivare a lui. Questo rende l’assassino uno dei tanti. Potrebbe essere chiunque. O meglio, è chiunque, sembra dirci Lang.

Il mostro non è uno che vive per conto suo, ma è un prodotto della società. È il prodotto eclatante di una malvagità diffusa, sotterranea. Il grande regista scava nell’animo umano. Vi scova le perversioni represse. Ognuno è responsabile dell’orrore. Perché l’orrore può svilupparsi solo in una società malsana. La società spaventata da quel mostro è in realtà spaventata da se stessa, dalle sue perversioni inconfessabili.

Nessuno può giudicare l’uomo

Anche la malavita è disturbata da quell’assassino. Perché la polizia controlla dappertutto, ostacolando gli affari illeciti. Così i malavitosi si mettono alla ricerca del mostro. Lo trovano. Non informano la polizia, ma lo sottopongono a un loro processo. È un processo farsesco e sommario. Criminali che giudicano un criminale. Ecco l’altra costante del grande cinema di Fritz Lang. Non c’è giustizia nel mondo. Ci sono le giustizie parziali. Nessuno può giudicare l’uomo. Perché ognuno è colpevole.

La polizia, grazie a un’informazione, giunge sul luogo del processo, salvando la vita del mostro.

M – Il mostro di Düsseldorf. Un film immortale

M – Il mostro di Düsseldorf è un film immortale, che tiene incollato lo spettatore allo schermo.

È un’opera monumentale perché anticipa le atmosfere noir, porta nel cinema la figura del mostro, sfrutta già tutta la potenzialità della recente introduzione del sonoro. Contiene tanto del cinema futuro. È stupefacente la sua modernità, a quasi un secolo dalla sua uscita.

M – Il mostro di Düsseldorf è universale anche per i suoi temi eterni. Il male, la giustizia, i recessi insondabili dell’animo.

Ma come ogni opera universale questo film è anche incarnato nel suo tempo. Infatti si rifà ai serial killer che negli anni Venti terrorizzarono la Germania e restituisce la Berlino popolare di quegli anni.

Fritz Lang si mantiene in equilibrio supremo tra realismo e simbolo. Sfruttando appieno il sonoro, dà vita a un cinema più realistico rispetto a quello muto. Un cinema che però resta suggestivo, stilizzato, ellittico. Alcuni dei simboli di M sono tra i più intensi del cinema. L’ombra dell’assassino che appare prima dell’assassino, per esempio. O il palloncino di Elsie volato via e restato impigliato tra i fili della luce dopo che la bambina è stata uccisa.