Tre canzoni di Tom Waits

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Tom Waits è un bluesman amante del buio e delle cantine. Ha cantato i destini beffardi e gli angoli malfamati. Il lato cupo delle metropoli e l’ipocrisia dei perbenisti. Waits è sempre stato attratto dalle minoranze, dai perdenti. Sempre sospettoso verso le folle e le verità fatte. Questo Bukowski della canzone è una specie di Springsteen più radicale, che ha fatto del suo relativo anonimato la sua forza. Non è, dentro il sistema, dalla parte dei più deboli. È fuori dal sistema. La sua voce rauca e profonda è una spina nel fianco delle certezze dell’America.

Molti sono stati influenzati dal blues urbano di Tom, compreso il primo Vinicio Capossela.

Il suo canzoniere è una lunga collezione di perle, una collezione fatta di poesia, di perdizioni, di solitudini.

Queste sono tre delle canzoni indimenticabili di Tom Waits.

The Piano Has Been Drinking (Not Me). L’ironia di Tom Waits

Tom ha bevuto, anche se lui sostiene che sia il piano ad aver bevuto. Ma fidiamoci di Tom. Poiché il piano ha bevuto, la canzone racconta cose strane. Per esempio «il jukebox deve andare in bagno» e «il tappeto ha bisogno di un taglio di capelli».

Una canzone stupenda, piena di ironia e di passione per il whisky. Una rivendicazione giocosa delle proprie trasgressioni.

The Piano Has Been Drinking (Not Me) è una provocazione e un’ostentazione di anticonformismo, contrapposto al perbenismo dell’America ufficiale. È una canzone da bar di periferia. È una canzone da Tom Waits, irriducibile oppositore delle buone maniere e delle ipocrisie. Con questa storiella del piano che ha bevuto, Waits irride il perbenismo e tesse le lodi della gioventù, della notte, della ribellione.

Ma ciò che più incanta è la voce. La voce già ruvida degli esordi si è trasformata in un ammasso di catrame e di sozzerie. Il whisky, il fumo e tutti gli stravizi notturni hanno intasato le corde vocali di Waits. Così quella voce si è fatta testimone della sua bohème e dei suoi eccessi. È particolare in sé, al di là di ciò che canta. In più è lo strumento più adatto a cantare le cose di quest’album, Small Change (1976), e di tutta la discografia waitsiana. È la voce delle fogne, dei perdenti, della diversità, della «bruttezza» nascosta tra le pieghe dello scintillio urbano.

Tom Waits
Tom Waits.

Soldier’s Things. L’antimilitarismo di Tom Waits

Swordfishtrombones dell’83 è l’album della svolta. Da questo momento il bluesman delle notti urbane diventa un artista nutrito da ogni tradizione. Quelle di Tom Waits restano canzoni blues che attingono dalle fogne, ma è un blues più sperimentale, che nasce dal rimescolio dei generi.

In questo miscuglio postmoderno, l’apice della commozione è Soldier’s Things.

Scrittoi e timpani

E cappotti a coda di rondine

Tovaglie e scarpe in pelle verniciata

Costumi da bagno e palle da bowling

E clarinetti e anelli

E questa radio ha solo bisogno di un fusibile

Un tuttofare, un sarto, le cose di un soldato

Il suo fucile, i suoi stivali pieni di sassi

E questo è per il valore, e questo è per me

E tutto quanto è un dollaro in questa scatola.

Il piano è sontuoso e indimenticabile. E indimenticabile è soprattutto l’emozione nella voce di Waits. Una voce sporca e sommessa, carica del brivido della vita. I pochi oggetti che restano del soldato caduto in guerra danno tutta l’idea della futilità della vita materiale, della precarietà di un nome, della fugacità di una storia. E dell’inutilità di una guerra. Di tutte le guerre.

Jockey Full of Bourbon. Il sottosuolo delle metropoli

Uno dei segni distintivi di Tom Waits è sempre stato la fedeltà al suo mondo. Un mondo scovato negli angoli sporchi, lontani dal sogno americano. La grandezza di Tom sta nello scoperchiare ciò che le maggioranze nascondono. Waits è provocatorio, fa emergere il lato sporco di ognuno di noi. Perché ognuno di noi è legato da un filo invisibile ai derelitti che popolano il sottosuolo delle metropoli.

Gli anni, i consensi critici, le possibilità offerte dal mondo del rock non hanno mai corrotto il grande cantautore. Non hanno mai scalfito la sua vicinanza agli esclusi, il suo anticonformismo limpido, il suo fascino di bluesman attratto dalle notti e dalla bohème. Quando l’album Rain Dogs uscì, nell’85, eravamo immersi fino al collo nella plastica e nelle luci degli anni Ottanta. Ma Waits continuava a cantare la notte e la periferia.

Una delle canzoni più belle di Rain Dogs e di Tom Waits è questa Jockey Full of Bourbon, colma di disperati, di alcol, di perdizioni.

Edna Milton in un vestito mozzafiato

Dutch Pink su un treno del centro

Una pistola da due dollari ma l’arma non sparerà

Sono nell’angolo di una pioggia torrenziale

16 uomini sul torace di un uomo morto

E ho bevuto da una tazza rotta

Due paia di pantaloni e un giubbotto di mohair

Sono pieno di whisky, non riesco ad alzarmi.

Ehi uccellino, vola a casa

La tua casa è in fiamme, i tuoi bambini sono da soli

Ehi uccellino, vola a casa

La tua casa è in fiamme, i tuoi bambini sono da soli.