Le canzoni di Gabriella Ferri

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Le canzoni di Gabriella Ferri, nata a Roma nel ’42, sono ai vertici del folk italiano e in generale della nostra musica popolare del Novecento. Apprezzata da molti, la Ferri è però trascurata da tanti altri. Eppure la sua arte rifulge come poche.

Gabriella era un’interprete geniale. La sua voce era capace di cambiare il senso dei brani. Gabriella Ferri era anche capace di dare senso a canzoni che non ne avevano.

Malinconie e ribellioni nelle canzoni di Gabriella Ferri

Quella voce impareggiabile era appassionata, malinconica, aggressiva. Era tutto e il contrario di tutto, anche nel giro di pochi versi. La sua vita ricca, in bilico tra gioie e disperazioni, si riversava su quei brani presi dalla tradizione romana. Investiva parole spesso leggere e le caricava di profondità. Nei tratti in cui quella voce arrochiva era impossibile resistere.

Quei brani della romanità sembravano scritti apposta per Gabriella e per la sua sensibilità. In realtà era la sua sensibilità a piegare quegli stornelli. Che così diventavano qualcosa di più di semplici stornelli. Gabriella vi cavava malinconie e ribellioni.

La società dei magnaccioni, Barcarolo romano, Le mantellate, Sinnò me moro e via dicendo. La sua carriera è piena di gioielli. E poi le canzoni firmate anche dalla penna di Gabriella Ferri, a cominciare da Te possino dà tante cortellate e dalla magnifica Sor Fregnone:

Che te fischi, a sor Fregnone,

statte zzitto, abbi rispetto,

che la sera drent’ar letto,

tu ce l’hai chi tte vo bbene;

io c’ho solo ‘sti vent’anni,

como fussero ‘n dispetto,

me li sento su la schiena,

io co lloro vado a letto.

Fondamentale anche la presenza scenica della Ferri. Il suo fascino e la sua gestualità riempivano i teatri al pari della sua voce arrabbiata o tremolante.

Gabriella Ferri
Gabriella Ferri.

La romanità e le altre tradizioni

Romana di Testaccio, bandiera della romanità al pari di Anna Magnani, Gabriella ha prestato la sua voce intensa anche alla tradizione napoletana. Ciccio Formaggio e Dove sta Zazà sono due esempi fulgidi della capacità di Gabriella Ferri di dare vita e tormenti a canzoni senza senso o destinate al divertimento.

L’artista romana ha spaziato tra i generi. Ha incontrato la canzone d’autore (si ascolti per esempio la sua interpretazione della Sera dei miracoli di Lucio Dalla), cantando anche canzoni scritte da Paolo Conte, e ha interpretato brani della musica popolare dell’America Latina (vedi l’album Remedios). In questa direzione troviamo per esempio Grazie alla vita della cilena Violeta Parra, tradotta dalla stessa Ferri, una delle sue interpretazioni più commosse.

Ma la sua gloria è affidata innanzitutto alle canzoni (quelle scritte da lei e quelle scritte da altri) inserite nel solco della tradizione romana, dove Gabriella Ferri ha fatto incontrare la caciarona che era in lei e la raffinatezza, l’insulto e le malinconie, le osterie e gli amori dolenti, uno sguardo di compassione per gli ultimi e tutti i tormenti della sua vita. La gloria di questa ragazza di Testaccio sta insomma nell’aver preso la romanità e innalzato su quella un’arte universale.