Paolo Conte. Malinconie e atmosfere decadenti

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La musica di Paolo Conte è imbevuta di atmosfere retro e decadenti, ma non è un’operazione nostalgica. È sufficiente, come dice Nicola Piovani, «un giro armonico sghembo, un deragliamento ritmico, il colore di uno spernacchiante kazoo a farci intendere che non si tratta di imitazioni, ma di inediti collage che ammassano trovarobato in soffitta, la soffitta della memoria musicale».

Dalla priorità accordata al testo musicale, pieno di rimandi al jazz, ai ritmi sudamericani, allo swing, discende la fama mondiale di Paolo Conte, elitario e popolare («Prima di tutto mi piace vantarmi del fatto che il mio è un grande pubblico, perché ho avuto la fortuna di lavorare all’estero […]. È un “grande pubblico” perché è la somma di tanti pubblici, i quali sono però dei piccoli pubblici»).

Il pianoforte, da sempre uno dei simboli di Paolo Conte
Il pianoforte è da sempre uno dei simboli di Paolo Conte.
Foto di Bryan Geraldo da Pexels.

L’indifferenza di Paolo Conte per le vicende del mondo

Il perno del canzoniere è l’indifferenza per le vicende del mondo. In Paolo Conte, protagonista è l’uomo. I suoi brani sono gioielli immobili, oggettini di verità che hanno spesso come sfondo ambienti lontani nello spazio o nel tempo, come la provincia italiana dei suoi ricordi (il ciclismo, le strade impolverate…). Altre volte, la fuga avviene dall’interno della realtà. Nelle sue pieghe, Conte scorge un altrove di mistero e di morte:

Ma quella faccia un po’ così

quell’espressione un po’ così

che abbiamo noi

prima di andare a Genova

e ogni volta ci chiediamo

se quel posto dove andiamo

non c’inghiotta e non torniamo più.

Eppure parenti siamo un po’

di quella gente che c’è là

che come noi è forse un po’ selvatica

ma la paura che ci fa quel mare scuro

che si muove anche di notte

e non sta fermo mai…

Memorabili sono i paesaggi invernali di Paolo Conte (la pioggia, gli impermeabili, le nostalgie lancinanti). Ma l’angoscia più asfissiante ha spesso per correlativi l’estate e il sole. Alcune delle indimenticabili invenzioni del cantautore piemontese sanno di afa e di disagio (come Azzurro, Una giornata al mare, Un gelato al limon).

Tratti sognanti ed evocativi

Ma le parole contiane sono prima di tutto un appoggio. Così Paolo Conte ricorre di frequente a onomatopee, lingue straniere, nonsensi sonori che amplificano il clima musicale. E a partire da Paris Milonga del 1981 i suoi versi sono zuppi di immagini ardite, oscurità, tratti sognanti ed evocativi (Hemingway, Sotto le stelle del jazz…).

Sotto le stelle del jazz (Targa Tenco 1985), in particolare, è, come dice Michele Saran, «una mistura geniale e poetica di atmosfere intime, confidenziali, liriche ed enigmatiche, dagli accenti gospel, blues, honky tonk e brass band, una raccolta di mottetti mitici (su testo originalissimo e commovente), di immagini notturne create dalla notte stessa, un diario di sospiri blues e di nostalgie trasognate».