La fase conclusiva dell’opera di Giorgio Caproni è quella degli ultimi quattro libri. Il muro della terra, 1975, Il franco cacciatore, 1982, Il conte di Kevenhüller, 1986, Res Amissa, uscito postumo nel 1991. Questi libri contengono alcune delle poesie più belle di Giorgio Caproni.

Il Caproni che precede l’ultima fase
Nell’opera cronologicamente centrale, quella degli anni Cinquanta e Sessanta, da cui prende le mosse l’ultima fase, Caproni è schiettamente narrativo.
L’autobiografismo e la musicalità vanno a braccetto, l’accordo di quotidianità e raffinatezza è splendido.
Livorno, Genova, il mare, le albe, le osterie, i vicoli, le ragazze… È tutto così fresco.
Il verso è breve. Gli enjambement sono talora arditi. È tutto un arrestarsi e un ripartire della musica. Caproni non cade mai né nella svenevolezza né nella prosaicità.
In questi libri si fa largo il sentimento della morte, che però, anche nelle sue punte più amare, non sopprime la fisicità dei luoghi e dei volti.
L’ultimo tempo delle poesie di Giorgio Caproni
Nell’ultimo Caproni il sentimento della morte dilaga. Il poeta è smarrito, quasi senza più voce.
Un uomo solo,
chiuso nella sua stanza.
Con tutte le sue ragioni.
Tutti i suoi torti.
Solo in una stanza vuota,
a parlare. Ai morti.
Caproni si fa più epigrammatico.
I versi restano brevi. Il discorso si fa ancora più spezzettato. Frasi di poche parole. Giorgio Caproni in queste poesie recupera la pienezza del vocabolo, tenendo a mente la lezione dell’Ungaretti maggiore. Cava dal fondo del suo smarrimento poche parole pregnanti, che si stagliano nel vuoto e nel silenzio. La frammentarietà di questi versi corrisponde a quella della realtà, orfana di Dio, di un senso unitario.
Resta la sintesi di parlato e cantato, ma è come se tutto fosse più aguzzo.
Il Caproni narratore cede spesso il posto a quello filosofo. Quando il Caproni narratore sopravvive è perlopiù allegorico.
Gli ambienti sono purgatoriali e cupi. Il vento, figure di passaggio, un senso di spaesamento, il silenzio.
Riemerge talora una certa fisicità, il sapore di ambienti popolari, di osterie, di elementi della natura.
Emblematica di quest’ultima fase è L’ultimo borgo, una delle poesie più belle di Giorgio Caproni, inclusa nel Franco cacciatore:
S’erano fermati a un tavolo
d’osteria.
La strada
era stata lunga.
I sassi.
Le crepe dell’asfalto.
I ponti
più d’una volta rotti
o barcollanti.
Avevano
le ossa a pezzi.
E zitti
dalla partenza, cenavano
a fronte bassa, ciascuno
avvolto nella nube vuota
dei suoi pensieri.
Che dire.
Avevano frugato fratte
e sterpeti.
Avevano
fermato gente – chiesto
agli abitanti.
Ovunque
solo tracce elusive
e vaghi indizi – ragguagli
reticenti o comunque
inattendibili.
Ora
sapevano che quello era
l’ultimo borgo.
Un tratto
ancora, poi la frontiera
e l’altra terra: i luoghi
non giurisdizionali.
L’ora
era tra l’ultima rondine
e la prima nottola.
Un’ora
già umida d’erba e quasi
(se ne udiva la frana
giù nel vallone) d’acqua
diroccata e lontana.

Lo sconforto e la spiritualità
Nell’ultimo Caproni viene meno ogni certezza, anche quella dell’esistenza.
Se non dovessi tornare,
sappiate che non sono mai
partito.
Il mio viaggiare
è stato tutto un restare
qua, dove non fui mai.
Sono aboliti tutti i confini e le vecchie convinzioni. Così si confondono il viaggiare e il restare, l’io e il lui, l’assassino e l’assassinato, il persecutore e il perseguitato.
L’importante è colpire
alle spalle.
Così si forma un cerchio
dove l’inseguito insegue
il suo inseguitore.
Dove non si può più dire
(figure concomitanti
fra loro, e equidistanti)
chi sia il perseguitato
e chi il persecutore.
È una perdita d’identità, una dispersione tragica di sé nella realtà.
Ma questa confusione tra l’io e il lui potrebbe anche essere, sotto sotto, il ritrovare pezzi di sé nel prossimo, il manifestarsi di un senso unitario.
Tutto sommato la negazione di Dio rivela l’aspetto spirituale dell’ultimo Caproni, giacché l’affermazione e la negazione sono le due facce della stessa medaglia. È nella disperazione che si può essere salvati. È come se nello sconforto dilagante dell’ultimo Caproni Dio stesse per manifestarsi da un momento all’altro.