Frasi da Arancia meccanica

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Arancia meccanica uscì nel 1971. Fu un film epocale. Stanley Kubrick lo trasse dall’omonimo romanzo di Anthony Burgess.

Il regista prefigurava un futuro di barbarie.

Alex e i suoi drughi sono i protagonisti dell’amata ultraviolenza. Pestaggi, stupri, scontri con bande rivali. Ma Kubrick mette sullo stesso piano questa crudeltà con quella dello Stato, che, con la cura Ludovico, rende innocuo il ragazzo privandolo della libertà di scelta. Il grande regista porta sullo schermo la violenza tutta intera.

Approfondisci il discorso su Arancia meccanica.

Il film trae la sua leggenda da tante cose. La colonna sonora, il linguaggio gergale, i costumi dei drughi, l’estetica, lo stile visionario, la profondità filosofica.

Di seguito alcune frasi iconiche tratte da Arancia meccanica, pronunciate da Alex, il capo dei drughi.

Stanley Kubrick, regista di Arancia meccanica
Un giovane Stanley Kubrick.
Foto di Camera Wiki su Flickr, CC BY 2.0.

Frasi da Arancia meccanica

Eccomi là. Cioè Alex, e i miei tre drughi. Cioè Pete, Georgie e Dim. Ed eravamo seduti nel Korova Milk Bar arrovellandoci il gulliver per sapere cosa fare della serata. Il Korova Milk Bar vende lattepiù, cioè diciamo latte rinforzato con qualche droguccia mescalina, che è quel che stavamo bevendo. È roba che ti fa robusto e disposto all’esercizio dell’amata ultraviolenza.

Una cosa che non mi era mai piaciuta era la vista d’un vecchio sporco sbronzo che abbaia canzonacce care ai suoi padri e procede di rutto in rutto come se avesse tutta una lurida orchestra nelle sue putride budella. Non li ho mai potuti sopportare, di qualunque età fossero, ma meno che mai quelli stagionati com’era questo.

Fu nei paraggi del teatro abbandonato che ci imbattemmo in Billyboy e i suoi quattro drughi. Si apprestavano a somministrare una lieve dose del dolce su e giù a una piangente giovane devotchka catturata a questo scopo.

La Durango 95 filava molto karasciò, con piacevoli vibrazioni trasmesse al basso intestino. Ben presto alberi e buio, fratelli, vero buio di campagna.

Ci sentivamo dunque leggermente strapazzati e infiacchiti, per via del fatto d’aver usato alquanta energia vitale, o fratellini; perciò, riceduta la vettura, ci fermammo al Korova per rinfreschi.

Ora sapevano chi era il signore e padrone. «Pecore», pensavo. Ma un vero leader sa quando concedere, e mostrarsi generoso agli inferiori.