Georges Brassens. Canzoni anarchiche

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Georges Brassens, negli anni Cinquanta, fu una vera scossa per la canzone francese e per il mondo dei benpensanti. Le sue canzoni erano anarchiche, di un’anarchia vera, sentita, che non scende a patti. Per Brassens c’era l’individuo, prima di tutto. Prima delle abitudini, delle norme che soffocano il singolo, dei costumi, del perbenismo. Questo chansonnier amava il fondo di Parigi, le periferie, le notti. I vicoli sporchi. I bassifondi dove brulicavano prostitute e alcolisti.

Contro le maggioranze

Quando aveva diciotto anni, Georges fu umiliato e condannato. Per delle bravate. Per furti da quattro soldi. Gli gridò cose ingiuste, una piccola folla. Fu uno degli episodi che lo portarono a contrapporsi alle folle, alla forza dei numeri, ai giudizi sommari. Dalle canzoni di Brassens le maggioranze non escono bene. E non ne escono bene giudici e guardie.

Queste canzoni condannano la tendenza a giudicare. A giudicare chi è «colpevole». E a giudicare chi non fa niente di male ma non segue le maggioranze. Perché le maggioranze non tollerano le voci contrarie. Un brano esemplare in questo senso è La mauvaise réputation, uno dei grandi successi dello chansonnier.

Georges Brassens
Georges Brassens nel 1966.

Contro le guerre e i giudici

Lo spirito anarchico di Brassens lo portava all’antimilitarismo. Nessuna idea deve essere imposta, perché nessuna idea è migliore dell’altra. Esemplare Les deux oncles. Lo chansonnier contesta la guerra. Contesta il «morire per delle idee», «perché forzando il passo succede che si muore / per delle idee che non han più corso il giorno dopo» (traduzione di Fabrizio De André).

Naturalmente la pena di morte è uno degli obiettivi polemici della penna e della chitarra di Brassens. Si pensi a Le gorille, dove un giudice che ha fatto tagliare la testa a un tizio si ritrova a essere trattato piuttosto male dallo scimmione fuggito dalla gabbia e assetato di sesso.

La poesia colta e proletaria di Georges Brassens

La bellezza delle canzoni di Georges sta in tante cose. Nel suo rispetto per gli ultimi, innanzitutto. Sta nella sua voce, che è senza fronzoli, come senza fronzoli è la strumentazione (basso e contrabbasso). Nella sua ironia pungente. Sta nella sua poesia, colta e proletaria. Una poesia che viene dalle letture ma anche dalla frequentazione dei sobborghi e delle bettole. Gli amati poeti della sua Francia da un lato, la trivialità dall’altro. Il canzoniere di Brassens ha l’odore della cultura e della scoreggia. Quella di Georges è una poesia dove l’alto e il basso sono intrecciati.

La voce immobile di Georges Brassens

Quella poesia è nuda. Niente abbellimenti. La voce è tutt’altro che enfatica, piuttosto è recitativa e immobile. Eppure quelle canzoni sono canzoni. Perché i versi sono pensati per l’amplificazione della musica. Brassens era un unicum nella canzone francese. Niente teatralità. In questo senso Georges era l’opposto di Jacques Brel. Nonostante questo, la sua voce si è diffusa oltre i confini, anche per le traduzioni e per le interpretazioni di molti artisti.

Brassens è stato uno dei padri della moderna canzone d’autore. La sua influenza è stata capillare. Quando questo chansonnier già cantava contro il potere, Bob Dylan era un bambino.