Rio, l’album che consacrò i Duran Duran

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I Duran Duran hanno spopolato negli anni Ottanta, e Rio, il loro secondo album, fu l’inizio di quell’ascesa commerciale. Pronto a inizio ’82, pubblicato nel maggio di quell’anno, il disco proiettò la band di Birmingham nei sogni di quell’estate, e in quelli della lunga estate di quel decennio.

Gli anni Ottanta sono stati ricchi di indirizzi musicali. Il post punk e la new wave comprendevano vari sottogeneri. Erano gli anni in cui si affermò la dark wave, una musica elitaria e depressa, che però nel corso del decennio conquistò fasce più ampie di pubblico. Ma è indubitabile che i tratti più evidenti di quegli anni erano quelli della festa, dell’apparenza, dell’edonismo, del glamour, dei sogni a occhi aperti. Per questo i Duran Duran, a cominciare dal loro primo album di successo, Rio, hanno incarnato lo spirito di quel tempo. Infatti la loro musica era una patinatura, un’affascinante patinatura, con quelle melodie ricche e quelle tastiere atmosferiche.

L’epoca del lusso

Simon Le Bon, Nick Rhodes, John Taylor, Roger Taylor, Andy Taylor, i cinque Duran Duran, avevano iniziato guardando al glam di David Bowie e di Roxy Music e al synth degli Ultravox. Ma con la band di Birmingham il glam e l’elettronica furono piegati decisamente nella direzione del pop. E il look diventò quello di cinque playboy, chiaramente a loro agio tra gli sfarzi del decennio.

Con i Duran Duran ci fu quasi una seconda Beatlemania. E ci fu, non solo con loro, una seconda British invasion. I Fab Five avevano ai piedi una marea di ragazzine adoranti. Perché Simon Le Bon e company erano belli e alla moda. Con loro l’epoca del lusso e delle feste arrivò nelle orecchie di tutti. Così quel mondo luccicante e glam diventò di tutti. Almeno nei sogni.

Dopo Rio, album che contribuì a portare alle masse il new romantic, i Duran Duran sprofondarono in quegli anni. Si lasciarono prendere la mano. I cinque furono accusati di pensare più all’ebbrezza del successo che alla qualità delle pubblicazioni. Erano sempre presenti e in forma. Tra copertine e televisioni. Però anche questo contribuì a fare dei cinque l’emblema di un’epoca. Infatti i loro eccessi erano quelli di quell’epoca.

Duran Duran

Rio, l’album che diede il via alla festa dei Duran Duran

Rio è l’apice dei Duran Duran perché è l’album che diede il la al loro successo. Perché è al di qua degli eccessi.

L’elettronica, il pop romantico. Rio codificò il linguaggio dei Fab Five. Quelle melodie intasarono i cuori delle adolescenti. Lo stesso fecero il look e gli atteggiamenti. Quello era il modo giusto di vivere. Basta con il punk, le disperazioni, l’anarchia, l’inverno degli anni Settanta. Era arrivata l’estate. Era il tempo dei party e delle isole da sogno.

La musica della band e la voce di Simon Le Bon, in Rio, riuscivano a tirare fuori lo spirito di quell’epoca, quel culto dell’apparenza, quei modelli di felicità.

Rio è simile all’inizio di una festa in un luogo esotico, con i bicchieri pieni che ti aspettano sul tavolo. È il momento unico del principio, quello che sta al di qua delle dismisure e della disillusione. E certo i suoi singoli sono le foto di un’epoca. La title track, My Own Way, Hungry Like the Wolf. E la sognante Save a Prayer, i cui cinque minuti e mezzo sono una vera macchina del tempo.