I Velvet Underground, con i primi tre album, tra il ’67 e il ’69, hanno cambiato i destini del rock.
Dai buchi di New York alla Factory di Andy Warhol
I Velvet Underground furono scovati nel ’65 da Andy Warhol nelle cantine newyorkesi. In quei sottoscala il gruppo proponeva un rock alternativo, che parlava di alienazione urbana, di angoscia, di tormenti infernali, di notti, droghe, sesso.
Lou Reed (voce e chitarra), John Cale (viola elettrica, pianoforte, basso), Sterling Morrison (chitarra e basso) e la leggendaria batterista Maureen Tucker proponevano un sound disperato e trasgressivo, ossessivo e stordente. I loro pezzi erano distanti dagli hippie e dalle rivoluzioni gioiose. Il loro sound era infatti una testimonianza dall’inferno.
Andy Warhol impose ai Velvet Nico, giovane cantante tedesca che aveva avuto anche esperienze come modella e attrice. La voce di Nico, nome d’arte di Christa Päffgen, era immobile e tenebrosa, androgina e seducente, e avrebbe affascinato negli anni gli ambienti alternativi del rock. Christa si sarebbe rivelata decisiva per The Velvet Underground & Nico, l’album di debutto di Lou Reed e compagni.
I Velvet e Christa Päffgen si imposero come l’attrazione principale delle notti della Factory, lo studio newyorkese di Andy Warhol, situato sulla Quarantasettesima est.
In quelle notti tutto era possibile. La Factory era l’illecito che diventava lecito. Proiezioni avanguardiste, spettacoli sadomaso. Il fracasso dei Velvet Underground rappresentava il battito notturno e ossessivo della metropoli infernale e proibita. I Velvet posero le basi di tutto il rock alternativo, senza compromessi e buon senso. I loro testi parlavano di siringhe nelle vene e sesso estremo, la loro era una poesia dello stordimento.

The Velvet Underground & Nico, l’album d’esordio
Andy Warhol procurò al gruppo un contratto discografico con la Verve Records.
The Velvet Underground & Nico, capolavoro del rock, uscì nel marzo del ’67. Il suo successo fu limitato, ma negli anni il 33 avrebbe raggiunto una fama e un consenso critico rari. La copertina era a firma Andy Warhol, e rappresentava una provocatoria banana gialla, che diventava rosa se la si sbucciava. Ma tutto l’album era una provocazione. Dai testi espliciti che parlavano di eroina e sesso al fracasso ipnotico.
Nico cantava tre pezzi, di cui Femme Fatale e All Tomorrow’s Parties erano tra i capolavori del 33. La voce sacerdotale e solenne della bionda tedesca era decisiva per la bellezza senza tempo di quest’esordio. I’m Waiting For The Man e Venus In Furs, dal canto loro, con la voce strascicata di Lou Reed, sarebbero state prese a modello da tutto il rock alternativo.
The Velvet Underground & Nico era un capolavoro di sintesi. L’avanguardismo di John Cale e la forma canzone prediletta da Lou Reed. Il rumore ossessivo e la ballata dal sapore retró (Femme Fatale). La New York sotterranea e malata e l’anima mitteleuropea incarnata da Nico. L’annichilimento e i profumi decadenti. L’abiezione e l’aristocrazia. Gli ambienti degradati e violenti e la poesia con cui quegli ambienti venivano descritti.
White Light/White Heat
Il primo album era un equilibrio magico e irripetibile. Che difatti non si ripeté. Il secondo 33 della band, White Light/White Heat, del 1968, esasperava gli aspetti sperimentali e rumoristici, che in The Velvet Underground & Nico venivano bilanciati da un’idea di compostezza che sotto sotto era ancora presente. A questi sviluppi contribuì l’assenza della voce decadente di Nico, che per dissidi interni aveva lasciato il gruppo, orfano ormai anche della supervisione di Andy Warhol. Come emblema di tutto questo si ascolti Sister Ray, diciassette minuti di fracasso, con la batteria di Maureen Tucker che fa miracoli. L’apice dell’avanguardia e del coraggio.
Il tema di fondo dell’Lp restava l’alienazione urbana. Un album bello, che aveva lo svantaggio di doversi confrontare con l’esordio inarrivabile.
The Velvet Underground, il terzo album
Se il secondo 33 esasperava un lato dei Velvet, lo sperimentalismo, il terzo, The Velvet Underground, pubblicato nel marzo del ’69, portava in primo piano un rock più tradizionale, la canzone, la dolcezza, la malinconia. John Cale aveva lasciato il gruppo, e Lou Reed la fece da padrone, nella scrittura e in tutto il resto. A sostituire Cale fu Doug Yule.
The Velvet Underground segnava l’inizio della fine del gruppo, ma era ancora un lavoro splendido. Sarebbe il capolavoro di molte rock band. Alcune delle sue canzoni con gli anni sono diventate capisaldi della discografia dei Velvet, come la commossa Pale Blue Eyes, che Lou Reed dedicò al suo primo amore, e After Hours, delicata e malinconica, che parla di una donna che si rifugia in un locale notturno, dove tenta di fuggire alle luci e ai suoi disagi. Il pezzo era cantato da Maureen Tucker, che così otteneva il suo premio. Pur non essendo tecnicamente perfetta, la Tucker era un pilastro del sound della band, con il suo battito primitivo e ossessivo.
Con i primi due di questi tre album i Velvet Underground hanno inventato un modo di fare musica che prima era impensabile. Indipendente dalle regole del mercato e del buon senso, eversivo e coraggioso. Una scheggia della loro arte la possiamo ritrovare in ogni espressione di rock trasgressivo.